A DISAGIO CON DIO_parte I

* Giovanni 3, 19-21: E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno preferito le tenebre alla luce, perché le loro opere erano malvagie. Chiunque infatti fa il male, odia la luce e non viene alla luce perché non siano svelate le sue opere. Ma chi opera la verità viene alla luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte da Dio.

Essere in ritardo e perdere un treno importante. Arrivare a un momento di preghiera e non riuscire a prendere posto. Essere importunate da un uomo maturo e appiccicoso. Accettare forzatamente una proposta che non rientra nel nostro desiderio. Sentirsi di troppo in un ambiente. Affidarsi alle cure di un amico e scoprire che ci ha combinato un bel guaio.

Sapere qual è la Volontà di Dio e non farla.

Non fare la Volontà di Dio è causa dei più grandi dispiaceri a cui andiamo incontro. La nostra disubbidienza ha frutti molto visibili, per noi stessi e per gli altri. Quando uno disubbidisce si scopre nudo di fronte a Dio e ha solo voglia di scappare e di non farsi più vedere da nessuno. Si sente a disagio perché sa, nel suo cuore, quello che Dio gli aveva chiesto e quello che invece sta facendo. C’è una forte contraddizione interiore: so cosa è il bene, ma scelgo il male. E farlo non solo porterà all’infelicità, ma soprattutto ci condurrà diritti in una condizione spiacevole e negativa: la vergogna.

Io provo vergogna ogni volta che disubbidisco, mi sento piccolo come un bambino e ho solo tanta voglia di andare via. Non reggo lo sguardo di Dio, né quello dei fratelli, ma ciò che sento mi fa nascondere da tutto e da tutti. Tutte le volte che mi affido agli uomini anziché a Dio, in ogni circostanza in cui metto per primo me stesso e poi il Regno, ottengo la stessa spiacevolissima sensazione: la vergogna.

Qui non è intesa come il pudore, ma come senso di disagio per essere consapevoli della propria inadeguatezza. Sono a disagio perché ho scelto la tenebra e la luce mi farebbe solo tanto male, perché vivo una condizione di doppiezza nel mio cuore e questo mi ferisce e mi fa sentire inadeguato ad avvicinarmi a Dio.

Il credente che ha disubbidito, ora si macera in un senso di colpa che potrebbe distruggerlo, se non chiede immediatamente l’intervento del Signore nella propria situazione.

* Romani 7, 21-25: Io trovo dunque in me questa legge: quando voglio fare il bene, il male è accanto a me. Infatti acconsento nel mio intimo alla legge di Dio, ma nelle mie membra vedo un’altra legge, che muove guerra alla legge della mia mente e mi rende schiavo della legge del peccato che è nelle mie membra. Sono uno sventurato! Chi mi libererà da questo corpo votato alla morte? Siano rese grazie a Dio per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore! Io dunque, con la mente, servo la legge di Dio, con la carne invece la legge del peccato.

La risposta a tutti i nostri tormenti è una sola: accettare Gesù Cristo come Salvatore. Piegarsi e inginocchiarsi. Umiliarsi e ammettere le proprie mancanze. Non siamo più sotto la legge, ma sotto lo Spirito di Dio, nella Sua carità e nel Suo infinito perdono. Dio ha mandato suo Figlio per salvarci e ogni giorno dobbiamo ricordarcelo.

Soprattutto quando è plateale la nostra incapacità. Soprattutto se siamo caduti. Soprattutto se ci vergognamo di noi stessi e di quanto abbiamo fatto. La nostra tristezza, se viene da Dio, a Lui deve ricondurci assolutamente.

Purtroppo è capitato, e capiterà, di sentirsi a disagio con Dio. In realtà è sempre così, anche quando ci sentiamo in pace e in comunione con Lui: noi non possiamo mai, in alcun modo, essere alla Sua altezza! Cosa cambia allora?

Cambia soltanto quello che c’è nel nostro cuore. Ogni volta che c’è imbarazzo con Dio, è perché sappiamo di aver compiuto il male deliberatamente e di averlo allontanato volontariamente da noi.