Catechesi – I BIANCO VESTITI

“E lui: “Essi sono coloro che sono passati attraverso la grande tribolazione e hanno lavato le loro vesti rendendole candide col sangue dell’Agnello. Per questo stanno davanti al trono di Dio e gli prestano servizio giorno e notte nel suo santuario; e Colui che siede sul trono stenderà la sua tenda sopra di loro. “(Apocalisse 7, 14b-15)

  • Uno dei vegliardi sta spiegando a Giovanni, in visione, chi è la moltitudine di ogni popolo, lingua, razza e nazione che compare davanti al trono di Dio. Ci sono due dettagli particolari che li caratterizzano: le vesti bianche e le palme nelle loro mani (v.9).
  • Il vegliardo spiega che questa folla immensa, per prima cosa, è passata attraverso la grande tribolazione. Non è possibile che si tratti solo di martiri, che tra l’altro erano già apparsi nel capitolo precedente (Ap 6, 9-11): qui si parla senza dubbio della totalità degli eletti. La grande tribolazione può far riferimento alle persecuzioni dei cristiani, passate, presenti e future. Non c’è bisogno di arrivare al martirio per essere perseguitati: anche lo scherno o l’ostilità verbale nei confronti delle scelte dei credenti è una forma di persecuzione. Il testo sembra comunque far riferimento ad una particolare, intensa, tribolazione. Molti suggeriscono che si tratti del periodo immediatamente precedente la venuta di Cristo, e questo è senz’altro confermato nei vangeli.
  • E’ Gesù stesso a dirlo, parlando proprio degli ultimi tempi (cfr Mt 24, Mc 13). Egli infatti cita esplicitamente una tribolazione grande (thlipsis megale), «quale mai avvenne dall’inizio del mondo fino a ora, né mai più vi sarà».
  • Il testo greco in Apocalisse può suggerire anche un’altra valida spiegazione, che confermerebbe il passaggio successivo, cioè il lavare le vesti nel sangue dell’Agnello. Infatti si può tradurre letteralmente «la tribolazione, quella grande»: e certamente nessuna tribolazione è stata grande come quella di nostro Signore! Per quanto efferate possano essere le persecuzioni dei cristiani, Gesù stesso ci ricorda che «un servo non è più grande del suo padrone» (Gv 15,20)! Tutto quello che ci accade come credenti è a causa della testimonianza di Gesù. E nessuno ha mai sofferto come Cristo nella Sua passione perché, ricordiamolo, Egli stava portando su di sé tutti i peccati dell’umanità. Tutto l’inferno era scatenato contro di Lui in quel momento, perché satana sapeva bene il valore di quel sacrificio!
  • E noi? Conosciamo questo valore? Se sì, sappiamo che con il battesimo siamo stati crocifissi, morti e sepolti con Cristo; e per lo Spirito Santo siamo resuscitati a vita nuova. Quindi tramite Gesù, per la fede in Lui, siamo passati anche noi dalla grande tribolazione, in quanto Suo corpo mistico! Possiamo fare parte della moltitudine degli eletti anche se non verremo martirizzati o non vivremo l’epoca dell’ultima grande persecuzione. Passare dalla grande tribolazione fa parte del cammino di ogni singolo credente; lavare le proprie vesti nel sangue dell’Agnello presuppone scelta e fede. La salvezza è sia un dono che un percorso.
  • Solo queste due condizioni (grande tribolazione e lavaggio delle vesti nel sangue) consentono di stare davanti al trono di Dio e dentro il Suo tempio, come dice chiaramente il vegliardo («per questo», v.16). Nessuna giustizia personale, nessun merito, e niente vivere per se stessi. Anzi: gli eletti servono Dio notte e giorno nel santuario! Il verbo servire è latreyoo, che significa anche adorare.
  • Poiché gli eletti non servono se stessi, ma Dio, ecco che Dio stesso si occupa di loro! Come è scritto nell’ultima parte del versetto: Dio stenderà la sua tenda sopra di essi. Il verbo greco utilizzato è skenoo, che significa fornire di tenda. La skene (da cui in italiano «scena») è in primis la tenda, la capanna. Si tratta di un elemento precario, che pur tuttavia funge da abitazione. A noi fa strano considerare una tenda come una vera e propria dimora; siamo abituati a chiamare casa un luogo inamovibile, costruito con materiali rigidi. Se vogliamo, possiamo cambiare l’arredo, i rivestimenti, la disposizione dei tramezzi interni, ma di certo nessuno si sogna di smontare la propria abitazione e portarla altrove. Non è solo un discorso culturale, ma soprattutto di mentalità. A noi piacciono le cose fisse; siamo prevalentemente abitudinari. Anche se viaggiamo spesso, ci piace sapere che c’è un posto nel mondo che non si muove e che possiamo chiamare casa.
  • Ma questi sono solo pensieri umani! Perché l’unica cosa veramente stabile è Dio. I terremoti o le alluvioni ci aiutano a ricordarlo. Bastano pochi minuti e la nostra casa può essere spazzata via. Se non ci ancoriamo alla Roccia (Gesù), potremmo essere sconvolti da ogni minimo cambiamento, anche positivo – come un trasferimento per lavoro o l’aumento della famiglia.
  • Il Signore non depreca certo le case, ma se desidera stendere una tenda sopra gli eletti, vuol dire che ha molto a cuore che noi impariamo a confidare totalmente in Lui per tutto. È questo il significato della tenda. Gli eletti lo sanno, hanno ben capito qual è l’Unica persona che conta veramente e che dà senso alla loro esistenza.
  • Qui c’è un richiamo forte alla celebrazione delle capanne, istituita da Dio stesso affinché Israele ricordi il viaggio nel deserto dopo la liberazione. Durante quegli anni, anche l’arca dell’alleanza era itinerante e stava dentro una tenda! Quella delle capanne (sukkot) è una festa, non una rievocazione triste, perché il deserto è il luogo dell’incontro con Dio.
  • Agli occhi di Dio, la festa delle capanne ha un significato molto speciale. Ecco perché permane anche in epoca messianica (cfr. Zac 14,16). Indica la totale fiducia ed abbandono del popolo di Dio alle Sue cure, che comprendono provvidenza, difesa, salvezza, sicurezza (come confermato dai vv. 16-17 di Apocalisse 7): sotto la protezione di Dio è garantita acqua della vita, riparo dall’arsura, cibo e perpetua consolazione.
  • C’è un altro dettaglio nella folla degli eletti che richiama la festa delle capanne: le palme che essi recano nelle mani. Infatti il Levitico (23,40) prevede l’uso di fronde di palma e di rami intrecciati di alberi per celebrare questa solennità. Questo «mazzetto» (se tale si può chiamare) è usato ancora oggi dagli ebrei e prende il nome di lulav.
  • Da sempre la palma è simbolo di onore e vittoria; nel mondo cristiano è tradizionalmente affiancata ai martiri, come segno di vittoria della vita sulla morte. Quando Gesù entra a Gerusalemme sul dorso di un asina, la folla lo acclama con fronde di palme (Gv 12,13) o con rami di alberi (Mt, Mc) – trattandosi della Palestina, di certo si trattava di alberi mediterranei, come nel lulav. La moltitudine di Apocalisse rende dunque onore e gloria al proprio Re con questo gesto, e grida infatti a gran voce che la salvezza appartiene a Dio e all’Agnello (v.10).
  • Il termine greco che indica palma (foinix) ci suggerisce ulteriori riflessioni. Infatti foinix significa anche porpora, tintura rossa scura ricavata da alcuni molluschi; i Fenici devono il loro nome a questo prodotto. Per la sua preziosità, la porpora è simbolo di regalità, e veniva usata per tingere le vesti e i mantelli di re e sacerdoti. C’è un richiamo sotteso al sangue di Gesù, assai più prezioso di qualunque porpora; rosso eppure talmente puro da rendere candide le vesti che tocca!

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