Catechesi – LA VOCE DEL PASTORE

“Chi invece entra per la porta, è il pastore delle pecore. Il guardiano gli apre e le pecore ascoltano la sua voce: egli chiama le sue pecore una per una e le conduce fuori. E quando ha condotto fuori tutte le sue pecore, cammina innanzi a loro, e le pecore lo seguono, perché conoscono la sua voce.” (Giovanni 10, 2-4)

  • Chi non vive in un mondo agreste e non conosce l’allevamento, può facilmente trascurare questo paragone del pastore e delle pecore. Tra tutti gli animali, le pecore sono considerate un po’ stolte, il gregge è sinonimo di massificazione. E invece il rapporto che si crea tra le pecore e il loro pastore è davvero speciale.
  • Oggi forse andrebbe più in voga il parallelo tra cane e il suo padrone; chi possiede un cane sa di cosa stiamo parlando. Il cane individua il capo del branco (cioè la famiglia in cui è accolto) e lo segue. Impara a riconoscere il fischio del padrone e vola ad un suo cenno. Lo affianca, è sempre felice di vederlo, sa che la sua sopravvivenza e il suo benessere dipende dal capo.
  • Anche se può essere efficace modernizzare questo paragone, tuttavia l’immagine del gregge e del pastore è insostituibile. Intanto, per il rapporto numerico. I greggi possono arrivare a contare decine di capi, eppure anche un solo pastore riesce a condurli; invece avere decine di cani e cercare di guidarli da soli sarebbe impossibile. Inoltre la pecora è simbolo di docilità e mansuetudine, caratteristica fondamentale per la sequela di Cristo. La proverbiale stoltezza della pecora è comunque un tratto distintivo, perché ci ricorda che siamo deboli e soggetti alla carne, anche se santificati da Gesù.
  • La ricchezza di questo versetto si trova tutta nei verbi greci che lo compongono, a partire a akoyoo (ascoltare, da cui in italiano acustico). È un verbo che implica attenzione, non è un banale «sentire». Tant’è che altri suoi significati sono: dare retta, obbedire. Quindi le pecore ascoltano la voce del pastore nel senso che ne fanno tesoro, obbediscono a quanto dice!
  • Non si punta mai abbastanza sull’importanza dell’ascolto, e invece Dio continuamente ce lo ricorda, a partire dal fondamentale invito: shemà Israel, ascolta Israele! Dio sa che gli altri sensi, soprattutto la vista, possono ingannare; ma chi sa ascoltare, non sarà sviato facilmente! La conferma di questo si trova a partire dall’Eden. Senz’altro satana ha fatto leva su parole false, ma il colpo di grazia che ha fatto cadere Eva è stato guardare il frutto proibito (Gen 3,6). Gli occhi facilmente confondono, perché solleticati dall’apparenza, dalla bellezza superficiale. Ma chi cerca la verità non darà peso all’apparenza: chiuderà gli occhi e ascolterà la voce che conta.
  • Molte voci possono tentare di sviarci: ma la Voce di Dio è quella che rimane nella pace, nella calma, nel silenzio. Non si veste di rumore per attirare l’attenzione, perché si fa trovare da chi la cerca senza distrazioni.
  • Le pecore hanno questo pregio, riconoscono la vera bellezza dalla voce. Ecco perché il loro pastore è bello (kalos, v.11) oltre che buono: bello non per gli occhi, ma per il cuore. Dio nasconde le Sue fattezze dietro a pane e vino, dietro le persone che ci dona, dietro le circostanze di ogni giorno… ma lo riconosceremo sempre se ci fermeremo ad ascoltarLo. Come i discepoli di Emmaus, che riconoscono Gesù dalle parole e dai gesti e non dall’aspetto.
  • Oppure pensiamo ai neonati, che riconoscono la voce della mamma anche se per i primi mesi non la riescono a vedere. Proprio come Maddalena al sepolcro: scambia Gesù per il giardiniere, ma quando Lui la chiama per nome, non ha più dubbi e allora anche i suoi occhi Lo riconoscono.
  • Il testo conferma questo, perché la frase tradotta come «le chiama una per una» in realtà è letteralmente: «le chiama per nome». Come un genitore fa con i figli: per quanti ne possa avere, sa tutto di loro. Perché ha dato loro la vita, il suo tempo, il suo amore, le sue risorse. Li ha amati e corretti come nessun altro. Il rapporto che lega il pastore alle pecore è speciale perché esse non sono una massa indistinta per lui: egli le conosce personalmente.
  • Essere chiamati per nome ci fa capire di essere amati e ci aiuta ad uscire dal recinto. Gesù non vuole che stiamo tutta la vita al riparo, ma che usciamo coraggiosamente nel Suo nome. Il verbo usato è exagoo, che significa spingere fuori, o anche, figurativamente, trarre fuori da uno stato o modo di essere. Rende l’idea di qualcuno che ci muove da dietro.
  • Gesù ci tira fuori dagli inferni della nostra vita, ci strappa dalla morte… ma ci spinge anche fuori dal nido! L’ovile è una nursery in cui rimaniamo per tutta l’infanzia spirituale, finché non siamo pronti per affrontare il cammino. Ma è importante uscirne, altrimenti ci atrofizzeremmo.
  • Se un estraneo venisse a tirarci fuori dal recinto contro la nostra volontà e al momento non opportuno, dovremmo giustamente avere paura; ma con Gesù non dobbiamo temere, perché Egli fa tutto per il nostro bene. Se ci spinge fuori dal nido, vuol dire che è ora.
  • Però, diversamente dagli uccelli che lasciano i pulcini in balìa di se stessi una volta fuori dal nido, Gesù invece continua a prendersi cura di noi. Del resto, ricordiamolo, Egli è il buon pastore. Quando ci ha tratto fuori dal recinto, si pone davanti a noi e va. Ci mostra la strada, la saggia col Suo bastone, la percorre prima di noi e ci dice esattamente dove mettere i piedi. Egli fa tutto il possibile per rassicurarci, ma sta a noi fidarci e uscire.
  • Cosa faremo? Ci impunteremo, rallentando tutto il gregge, o seguiremo il Pastore? Il testo dice che le pecore Lo seguono perché conoscono la Sua voce. Anche se fossimo una pecora cieca, non dovremmo temere. Abbiamo già imparato a fidarci di Dio nel recinto, perché il guardiano (la nostra autorità spirituale) Gli ha aperto. Quando si imparara a riconoscere una voce, non la si scorda più. Andiamo avanti con fede!
  • Il verbo tradotto come «seguire» è particolarmente ricco di significato, ci fa capire in cosa consiste la nostra sequela. Esso è akoloytheoo: oltre che seguire in senso generico, significa anche prendere per guida, imitare, essere servitore, lasciarsi guidare con il pensiero, essere conforme. C’è tutta la gamma delle azioni del discepolo di Cristo.
  • Il rapporto Pastore-pecora non è passività, ma decisione e scelta. Infatti il Pastore non trascina la pecora per il guinzaglio! La esorta, la sprona, la corregge con il bastone se necessario, la va a ripescare se si è persa… ma non la tira a forza. È un rapporto che si basa unicamente sull’amore e la fiducia. L’amore del Pastore per le pecore, tanto grande che Egli dà la vita per esse; e la fiducia delle pecore nei confronti del Pastore, che deve essere totale.