Catechesi – TEMPO DI RISURREZIONE

“In verità, in verità vi dico: è venuto il momento, ed è questo, in cui i morti udranno la voce del Figlio di Dio, e quelli che l’avranno ascoltata, vivranno.” (Giovanni 5, 25)

  • Ogni volta che Gesù annuncia qualcosa di particolarmente importante, precede la frase con «in verità vi dico». Nel testo originale è scritto Amèn, espressione ebraica che indica certezza assoluta. Ebbene qui Gesù ripete due volte lo stesso incipit (amèn amèn)! Perciò dobbiamo senz’altro dedurre che si tratta di una verità importantissima, e prestare ascolto.
  • Gesù annuncia che è giunto il tempo della resurrezione! Infatti parla di morti che rivivranno. Il passaggio dalla morte alla vita è un segno inequivocabile della presenza e dell’azione di Dio. Tuttavia le cose non sono scontate o automatiche; c’è in gioco la libera scelta umana.
  • Il testo infatti è chiaro: i morti (tutti) udranno la voce del Figlio di Dio; ma solo quelli che l’avranno ascoltata vivranno!
  • L’originale greco utilizza in entrambi i casi il verbo akoyoo, ma è evidente la diversità di significato che la traduzione italiana giustamente rende con «udire» e «ascoltare». Lo si capisce anche dalla costruzione della frase in greco: akoyoo legato al genitivo indica semplicemente udire, e l’attenzione è rivolta a cosa si sta percependo, in questo caso la voce (foonè) di Gesù. Ma il secondo akoyoo non regge nessun genitivo. La frase potrebbe essere letteralmente tradotta: «gli ascoltatori vivranno». Akoyoo, da solo, ha proprio il significato di prestare ascolto, dare retta, perfino obbedire!
  • È dunque chiara la differenza. Non basta captare nell’aria le parole di Dio, bisogna accoglierle, sceglierle, farle diventare parte di noi. Come? Basando le nostre azioni su di esse.
  • Se un giorno qualcuno degno di fiducia venisse a dirci che siamo diventati eredi di un ingente patrimonio, quale sarebbe la nostra reazione? Stupore, incredulità, gioia… Potremmo essere convinti di ciò che sentiamo, ma se poi non cominciamo a vivere basandoci su quella certezza, è come se non l’avessimo accolta. Continuare a vivere di stenti benché si possieda una fortuna equivale a non averla.
  • La differenza di condizione tra chi semplicemente ode e chi ascolta non è di poco conto. Il primo rimane nella morte; il secondo vive. Il verbo usato è zaoo, che significa pienezza di vita, essere in pieno vigore e in piena attività. Non un vivacchiare dunque, perché con Dio c’è sempre abbondanza. La Parola è lo spartiacque tra il tutto (la vita) e il niente (la morte).
  • Ma attenzione: niente non vuol dire fine. Siamo soliti pensare che la morte sia la fine di ogni cosa, ma questa è un’idea atea, non cristiana. Infatti Gesù avrebbe dice di Se stesso «Io sono l’alfa e l’omega, il Principio e la Fine» (Ap 21,6; 22,13)?
  • Gesù si proclama l’inizio e la fine di ogni cosa perché la fine non è assenza e distruzione. Basta leggere Apocalisse: la fine è in realtà il finale tanto atteso! È lo scopo, il compimento, la pienezza di tutto (infatti il termine greco è telos che conferma tutti questi significati). È come leggere una storia d’amore: il racconto si dipana tra vari ostacoli che gli innamorati devono affrontare, prima che ogni nodo sia sciolto e i due possano ricongiungersi e vivere «per sempre felici e contenti». Il finale di una fiaba non è la morte di tutto e di tutti: è l’inizio di una vita piena! Questo paragone può sembrarcu ingenuo o infantile, e invece è giusto attendere con trepidazione il lieto fine: è vera fede. I bambini ci superano in ciò… come in tutte le realtà dello spirito, del resto!
  • La «fine» della storia è quindi solo l’inizio di un nuovo periodo di unione, gioia e prosperità. È come il matrimonio dopo anni di fidanzamento. E non è forse ciò che è scritto in Apocalisse? L’ultimo libro della bibbia è il compimento di una storia d’amore che ha avuto inizio con Dio che crea l’uomo.
  • E allora come dobbiamo considerare la morte? La morte è un demone, l’ultimo nemico che sarà annientato (1 Cor 15,26). L’ultimo ostacolo che si oppone alla nostra unione con Gesù. Prima di vivere lo sposalizio con Cristo è necessario risorgere da morte, perché il nostro Sposo è risorto! Ma attenzione: non dobbiamo pensare solo alla nostra morte fisica e alle realtà escatologiche. Già in questa vita terrena siamo chiamati ad essere sposi e spose di Gesù, cioè risorti in Cristo per vivere per Dio! L’ostacolo più grande che incontriamo è la morte spirituale, oltre a varie forme di peccato o di schiavitù che ci separano dal nostro Amato.
  • In quanto Re vittorioso, Gesù ha potere su tutto, anche sulla morte. Essa perciò non è la fine, ovvero non ha l’ultima parola. La morte non è altro che una prigione, di cui Dio ha la chiave.
  • Questa è una notizia meravigliosa! La voce di Gesù, Luce che squarcia il buio della morte, ci chiama. Ci annuncia la salvezza, ci mostra la Via d’uscita. «Anche Cristo è morto una volta per sempre per i peccati, giusto per gli ingiusti, per ricondurvi a Dio; messo a morte nella carne, ma reso vivo nello spirito. E in spirito andò ad annunziare la salvezza anche agli spiriti che attendevano in prigione» (1 Pt 3,18-19).
  • Nonostante ciò, molti rimangono prigionieri. E’ a causa della libera scelta, come dicevamo prima. Gesù ha la chiave per aprire la cella e non fa preferenze di persone perché tutti i morti odono la Sua voce. Ma Egli precisa anche che l’unico modo per essere veramente liberi è seguirLo. Non basta uscire dalla cella, è necessario scappare dal dedalo delle segrete demoniache, e solo Gesù conosce la strada, anzi è Lui la Strada! Purtroppo molti questo non l’accettano. Vogliono uscire dalla cella ma poi fare da soli il resto del cammino.
  • Ciò è pericoloso e stolto. Queste persone gireranno in tondo, si perderanno in vicoli ciechi, finiranno di nuovo schiave in una condizione peggiore della precedente, perché cercheranno di affrontare i guardiani della prigione (i demoni) con le proprie forze. Non ha senso essere liberati dal frutto di scelte sbagliate senza essere convertiti nel cuore.
  • La nostra cella può essere un peccato abituale, una schiavitù, una malattia; Gesù può senza problemi liberarci da queste cose. Ma la cella fa parte di un edificio spirituale più grosso, che si nutre della mentalità del mondo. Ecco perché Gesù ci invita a seguirLo, a camminare sulle Sue impronte, perché vuole farci uscire alla Luce, veramente liberi non solo da ogni cella ma da ogni prigione! Questo cammino verso la libertà non è una comoda autostrada, assomiglia più ad un sentiero di montagna, con passaggi angusti, porte strette, abbassamenti per avanzare carponi… il percorso non è comodo né facile; e Gesù non ha mai detto che lo fosse. Ma la bella notizia è che non dobbiamo affrontarlo da soli! Gesù è lì con noi, ci guida, ci protegge! E lo fa con tutta autorità, perché Egli l’unico ad aver percorso la strada a ritroso, dalla morte alla vita. Nessun demone può fermarLo.
  • La perfetta salvezza che Gesù ha compiuto è fatta di due momenti. Per prima cosa, Gesù è entrato nella prigione con noi. Non vi è entrato di soppiatto, ma pubblicamente come condannato, anche se innocente. Ha provato fino in fondo lo strazio della schiavitù e della nostra lontananza da Dio. Ha affrontato la morte. Ma poi Dio lo ha resuscitato! E così Gesù è risalito dall’abisso della prigione, ha tracciato la strada per uscire dal sepolcro! Vi è entrato con diritto, sotto la legge, e vi è uscito con potenza. Sia lode al Signore, nessuno è pari a Lui!
  • Chi pensa che Gesù ci abbia salvato solo (si fa per dire) dalla punizione per i nostri peccati, si perde metà della salvezza. Infatti essa è anche il percorso tracciato da Gesù dalla morte alla vita, dalle tenebre alla luce. La prima parte è dono da accogliere; la seconda è responsabilità da vivere.

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