Catechesi – QUALE RISURREZIONE?

“Non vi meravigliate di questo, poiché verrà l’ora in cui tutti coloro che sono nei sepolcri udranno la sua voce e ne usciranno: quanti fecero il bene per una risurrezione di vita e quanti fecero il male per una risurrezione di condanna.” (Giovanni 5, 28-29)

  • Siamo soliti abbinare il concetto di resurrezione ad un evento gioioso. E senza dubbio lo è; passare dalla morte alla vita è il miracolo più grande che Dio possa fare. Quanta gioia per le sorelle di Lazzaro, che lo poterono riabbracciare dopo 4 giorni; quanta felicità per la vedova di Nain, che stava seguendo il feretro dell’unico figlio al cimitero e invece se lo riportò a casa vivo e vegeto! Quanta commozione per Giairo e la sua casa, dopo che l’unica figlia venne riportata in vita.
  • Un morto che risorge dovrebbe essere la prova inconfutabile dell’esistenza e della potenza di Dio… ma si sa: ogni volta che il Signore interviene ed appare sulla scena, avviene sempre una divisione. O con Lui o contro di Lui. È accaduto in ogni fase della vita terrena di Gesù, calvario compreso; e non poteva che avvenire anche alla Sua resurrezione.
  • Chi cerca sinceramente Dio, potrà rimanere turbato o spiazzato di fronte al sepolcro vuoto, come è accaduto alle pie donne o ai discepoli; ma Gesù apparirà sotto vesti nuove e la gioia invaderà i cuori dei credenti. Chi invece è ostile a Dio troverà motivo di biasimo, scandalo e incredulità anche nella resurrezione (cfr Mt 28, Gv 11,44-53; 12,9-11).
  • Il versetto di riferimento ha una valenza escatologica (relativa agli ultimi tempi): parla infatti di un’ora che verrà, in cui tutti udranno la voce del Figlio di Dio e usciranno dai sepolcri, per poi essere separati in base a ciò che avranno compiuto. Ma la cosa da notare è che per entrambi ci sarà resurrezione. Tutti recupereranno il proprio corpo, tutti verranno strappati dal demone della morte, perché Gesù sconfiggerà ogni nemico, ogni demone. Ciò che conta è sapere a quale resurrezione si va incontro!
  • Poche frasi prima (Gv 5,25) Gesù dice invece che è giunta l’ora in cui i morti odono la Sua voce e chi l’avrà accolta, vivrà. C’è dunque chi rimane nel limbo della morte e chi invece si alza e viene liberato; ma questa ora è l’oggi, il presente che abbiamo a disposizione. È in questa vita terrena che ci giochiamo la vita futura. Coloro che oggi decidono di rimanere nella morte non sono solo gli ostili alla parola di Dio, ma sono anche i procrastinatori. Pensano di avere tempo per convertirsi, preferiscono pascere se stessi. Non sono apertamente avversi a Dio, però tengono troppo alla loro incolumità, tranquillità, comodità. Ma di fronte a Dio non si può lavarcene le mani come Pilato. I tiepidi vengono vomitati (Ap 3,16).
  • La voce di Dio che chiama scuote le nostre sonnolenze e le nostre piccole certezze. L’invito è quello di alzarci e si sa: quando si dorme profondamente ci vuole forza di volontà per aprire gli occhi e mettersi in posizione eretta. Ma solo allora saremo veramente svegli. Chi apre gli occhi ma rimane orizzontale non tarderà a riaddormentarsi…
  • Il rischio di ricadere nel sonno della morte spirituale è relativo solo all’oggi. Al momento presente c’è gente che veglia e gente che dorme. Ma quando Cristo ritornerà e aprirà le tombe, tutti si alzeranno. La voce che oggi ci invita, domani ci scuoterà come un terremoto. Nessuno potrà nascondersi o darsi assente. Tutti risorgeremo.
  • Quel momento, come ogni resurrezione, provocherà la solita divisione tra chi attende con gioia il ritorno di Cristo e chi non se l’aspetta, tra chi ha scelto Dio e chi no. Il discriminante sono le opere. La traduzione parla semplicemente di fare il bene e fare il male, ma il testo greco è molto più ricco e ci aiuta meglio a capire. Il «bene» è agathà, ovvero cose buone, oneste, coraggiose, feconde, utili. Il «male» sarebbe invece fayla, ovvero cose cattive, ma anche frivole, ordinarie, vili, codarde.
  • I verbi tradotti genericamente come «fare» sono in realtà diversi in greco. Ad agathà è abbinato poieoo, mentre a fayla è abbinato prassoo. Certamente entrambi significano «fare», ma ci sono tanti modi di fare le cose e i due verbi greci sottolineano questa sfumatura. Se teniamo conto che da prassoo deriva prassi, pratica e che da poieoo deriva poesia, abbiamo già capito che i livelli sono differenti. Non è una questione di astratto contro concreto, perché anche poieoo implica un agire reale; però si capisce che le opere buone sono quelle eseguite secondo una precisa mentalità: quella di Dio. C’è un disegno, uno scopo che non viene subito rivelato, ma che è seguito coraggiosamente per fede.
  • Ecco il vero discriminante: la fede. Lo si capisce anche dalla scelta dei termini agathos e faylos. Sono contrapposti in quanto buono/cattivo ma anche in quanto coraggioso/vile, utile/frivolo. Le opere fatte per fede implicano coraggio e sono sempre utili e feconde; tutto ciò che non è per fede è peccato, quindi non può essere gradito a Dio (cfr Rm 14,23; Eb 11,6).
  • Nella fede si opera per costruire il regno di Dio, che prima di tutto si forma dentro di noi! Ecco perché c’è una resurrezione di vita (zooè, vita piena) per coloro che hanno agito così. Essi mettono fin da oggi da parte un’eredità magnifica da gustare in eterno. Per tutti gli altri c’è un altro tipo di resurrezione. La traduzione parla di condanna, ma il termine greco usato (krisis) è molto più ricco.
  • Krisis vuol certo dire giudizio, condanna, sentenza, ma il suo primo significato è separazione. Il punto focale è capire che esiste una condizione peggiore della morte: la separazione da Dio. E, trattandosi di resurrezione, è una condizione permanente!
  • Finchè siamo in questa vita terrena, siamo ancora in tempo a svegliarci dalla morte spirituale… non ignoriamo la voce di Dio oggi!