Catechesi – NON E’ QUI. E’ RISORTO

“Non è qui. È risorto, come aveva detto; venite a vedere il luogo dove era deposto. Presto, andate a dire ai suoi discepoli: È risuscitato dai morti, e ora vi precede in Galilea; là lo vedrete. Ecco, io ve l’ho detto”.  (Matteo 28, 6-7)

  • Quante volte cerchiamo Dio nel luogo sbagliato?
  • Molti di noi, prima di incontrare Gesù, hanno provato a colmare il vuoto del loro cuore cercando Dio in religiosità, sette, occultismo… o anche nei propri piaceri, interessi, sicurezze. Si tratta di casi vistosi in cui si manca palesemente il bersaglio. È come voler andare a nord indirizzandosi però verso sud.
  • Ma anche voler andare a nord e poi dirigersi a nord est è comunque sbagliato! La meta non la si raggiunge comunque. Essere in prossimità del regno non è uguale ad esserci dentro!
  • Le indicazioni che «l’angelo del Signore» (v.2) dà alle pie donne giunte al sepolcro sono molto importanti per permetterci di incontrare Gesù, per non farci sbagliare strada. Subito una certezza: «non è qui». È inutile cercare Gesù al sepolcro, non Lo troveremo. Risuona la frase riportata nel racconto di Luca: «perché cercate tra i morti colui che è vivo?». È assurdo. Eppure quante volte anche noi preferiamo piuttosto «mettere una pietra sopra»…?
  • È strano, ma a volte ci sentiamo più a nostro agio nel cercare Dio in luoghi prevedibili, pensandoLo inscatolato, preconfezionato. Siamo come i Giudei, che preferivano Dio sigillato in una tomba piuttosto che risorto (cfr. Mt 28,11-15). Ciò accade perché è più comodo, perché le cose statiche ed immobili ci trasmettono sicurezza. Ma quale sicurezza? Non certo quella che deriva da Dio. Lo Spirito Santo è vita perché è dynamis, forza e dinamicità, sconvolge le certezze umane, spinge ad andare, a cambiare, a partire. E questo non tutti sono disposti a farlo.
  • La sicurezza che viene da Dio risiede nella Sua parola, nella Sua fedeltà. Essere sicuri in Dio vuol dire sapere con certezza che Lui è sempre attento e pronto ovunque andiamo, non che ci relega in un bozzolo. Per capire questo, pensiamo ad un genitore con i figli piccoli. I bambini sono l’emblema della vita proprio grazie alla loro dinamicità e curiosità. Si muovono ovunque, guardano, toccano, corrono, sfuggono… un saggio genitore veglia sui figli, pronto ad intervenire se sono in pericolo, ma non li limita o costringe in spazi angusti per paura che si facciano male. Capiterà una caduta, una sbucciatura… ma anche quella è vita. L’alternativa è la morte, cioè l’immobilità, il confinamento in un luogo angusto e chiuso, come un sepolcro. Sarebbe anormale e crudele vedere un bambino chiuso in gabbia, anche se il genitore l’avesse fatto con l’intenzione di proteggerlo.
  • E cos’è questa se non schiavitù? Quante volte schiavizziamo le persone o noi stessi con le migliori intenzioni?
  • La nostra guarigione consiste nel contemplare la resurrezione. «È risorto, come aveva detto; venite a vedere il luogo dove era deposto». I verbi usati in greco per risorgere e deporre sono egheiroo e keimai. Essi comprendono tutta una gamma di azioni sinonime che ci aiutano a capire la portata di ciò che sta succedendo. Infatti egheiroo vuol anche dire svegliare, alzare, costruire, guarire; keimai indica lo stare immobile disteso in una posizione per vari motivi, siano essi sonno, svenimento, morte, malattia, disprezzo, sventura. Insomma: Gesù nella tomba rappresenta tutti noi, immobili nelle nostre infermità, morti spirituali, angosce o semplicemente incoscienza di essere bisognosi di rivivere. Come uscirne?
  • Per la potenza di Dio! Se siamo morti con Cristo, con Lui viviamo! Ciò che è vero di Gesù è vero anche per noi, quindi ora siamo risorti, guariti, vigili. Non è qualcosa che facciamo con i nostri sforzi, perché nessuno può uscire dalla tomba da solo.
  • E ricordiamoci: il tempo che Gesù ha trascorso nel sepolcro è minimo, giusto il necessario per evangelizzare i morti. Non c’è paragone tra il tempo della morte e quello della vita di risurrezione, che è infatti eterna! Eppure noi, con paure e rigidezze, spesso prolunghiamo la nostra permanenza nel sepolcro. Non ci guardiamo alla luce di Cristo e quindi vediamo solo il nostro obbrobrio, la morte. È bene vedersi nella Verità, ma deve essere solo un momento di passaggio, per poi alzare lo sguardo al Salvatore! invece noi rimaniamo nel sepolcro, o perché non vogliamo vedere, o perché ci fissiamo su noi stessi.
  • L’angelo del Signore invita infatti le donne a vedere (eidon, osservare, investigare… quindi non una rapida sbirciata, ma un’attenta considerazione); ma subito dopo dice «presto, andate»! Non soffermatevi sul luogo di morte, Gesù è risuscitato! La Vita ha vinto la morte per sempre, non sarà mai più il contrario! Le donne sono invitate ad andare ad annunciare ai discepoli ciò che hanno visto: la missione nasce davanti al sepolcro vuoto, ma non si svolge dentro di esso! La vita non può essere confinata in un luogo, ma va e si espande.
  • Non esistono prove tangibili, perché la resurrezione non può e non potrà mai essere dimostrata, ma solo creduta. La prova vivente siamo noi! Ecco perché chi perseguita i cristiani vuole eliminare dei testimoni «scomodi».
  • E non finisce qui. Il messaggio della resurrezione non è completo senza un’importante indicazione su come trovare Gesù: «ecco vi precede in Galilea; là lo vedrete». Gesù non è qui perché è andato avanti. Non lo fa per sfuggirci, ma per guidarci! Il verbo tradotto correttamente con precedere è proagoo, che ha in sé l’idea di qualcuno che conduce incitando da dietro, spingere innanzi, far avanzare. Insomma: Gesù ci apre la strada, ma al tempo stesso ci lascia segni e indicazioni che ci sospingono. L’adesione è frutto della nostra libera scelta, ma noi avvertiamo questo irresistibile richiamo, non possiamo non cercare l’Amato del nostro cuore, come la sposa del Cantico! Anche se siamo incerti, impauriti, tuttavia non ci bastano gli indizi trovati al sepolcro. Noi vogliamo vedere Lui!
  • In questa vita terrena viviamo una sorta di «storia a distanza» con Gesù: non possiamo vederLo sempre, perciò Egli ci dà appuntamento in luoghi precisi in cui è possibile incontrarLo. Ci andremo? O ci accontenteremo di lettere e sporadiche telefonate? Chi ha vissuto una storia d’amore a distanza lo sa: si fanno i salti mortali pur di vedere l’amato/a, anche per un breve istante, perché niente può dare gioia come un incontro di persona.
  • Perché Gesù ci aspetta proprio in Galilea e non altrove? È dove il ministero terreno di Gesù è iniziato, e da dove parte ufficialmente il nostro mandato. La spiegazione si trova in Mt 4,14-16, quando l’evangelista cita Isaia. La «Galilea delle genti» è un luogo di contrasto, in cui però «il popolo immerso nelle tenebre ha visto una grande luce». Dobbiamo smettere di cercare Gesù nei luoghi comodi (e quindi sterili) della nostra esistenza.
  • Andare al sepolcro vuoto è un gesto di interesse verso Dio (le pie donne vanno a prendersi cura del corpo di Gesù); ma è solo una tappa, una deviazione necessaria affinché Gesù ci indirizzi altrove. È il primo passo, fatto nell’umano, per andare incontro a Dio. Ma subito Egli ci sorprende e sconvolge i nostri piani! Infatti le pie donne si immaginavano di trovare una determinata situazione, e invece… sorpresa!
  • Si inizia con un corteo funebre… e ci si ritrova a fare un cammino con Dio. Si parte con un orizzonte umano, e si trova l’orizzonte divino. Del resto i discepoli vanno in Galilea per rivelazione, non per umano buon senso. E noi, cosa scegliamo di fare?