Catechesi – VITA UMANA O VITA ETERNA

“Chi ama la sua vita la perde e chi odia la sua vita in questo mondo la conserverà per la vita eterna.” (Giovanni 12,25)

  • A volte pensiamo che essere cristiani significhi dare strenua lotta al peccato e alla morte che porta con sé. È certamente così, ma non solo. La prima scelta importante da fare è tra vita e morte, dove morte è l’evidenza di peccati macroscopici, la grossolana infrazione della volontà di Dio e l’adorazione di qualsiasi cosa non sia Dio. Il passo successivo è un’altra scelta, più sottile ma non meno significativa. Vita umana o vita eterna? O per meglio dire,  vita carnale o vita spirituale?
  • Parlare di vita nella carne o nello spirito spesso confonde le idee, soprattutto per chi si approccia a Gesù da poco. Questo versetto ci aiuta nella distinzione tra carne e spirito, perché la parola “vita”, ripetuta tre volte, è in realtà la traduzione di due diversi termini greci. Il primo è psychè, l’altro è zoè.
  • Quando la scrittura parla di amare o odiare la vita si riferisce sempre a psychè; mentre l’ultima parola (vita eterna) è zoè.
  • La distinzione è sostanziale. Infatti la psychè è la nostra anima. È ciò che ci caratterizza in quanto individui, perché formata da pensieri, sentimenti e volontà.
  • Respirare, pensare… sono azioni che ci confermano che siamo vivi… nella carne. Si tratta infatti della nostra psychè (che infatti in greco vuol dire anche respiro come segno vitale). Essere vivi carnalmente però non significa essere vivi anche spiritualmente.
  • C’è infatti chi si muove, parla, respira e magari è anche sano nel corpo, ma è solo un morto ambulante. Perché? Perché non vive della zoè, del principio vitale di Dio. Ogni volta che nella scrittura si parla della vita di Dio si dice sempre zoè, mai psyché!
  • Quello che conta davvero è essere vivi nello spirito, ovvero partecipare della vita di Dio, che è sempre vita eterna. Vuol dire avere comunione con Dio, essere Suoi. Vuol dire vivere dello e nello Spirito Santo, che guida il nostro spirito.
  • Si può essere vivi nello spirito ma non nella carne, come lo sono tutti i defunti in Cristo. Si può essere vivi nella carne ma non nello spirito, e questo è un male. Però c’è ancora speranza di una conversione. La condizione peggiore è essere morti nello spirito e nella carne, perché a ciò non c’è rimedio.
  • Finchè si è nella vita carnale, umana, abbiamo tempo di accogliere la Parola di Dio, che dà vita vera, e vivere di questo principio vitale. Ogni volta che facciamo o diciamo qualcosa secondo la Parola di Dio stiamo incarnandola nella nostra vita. Siamo mossi dallo Spirito Santo e viviamo la vita eterna. Già da ora! Mentre ogni volta che viviamo per noi stessi, per la nostra volontà, stiamo vivendo nella carne. Ciò che produrremo non avrà valore eterno ed è destinato ad essere bruciato.
  • Il versetto parla di una scelta: amare la propria psychè o al contrario odiarla. Ma cosa significa?
  • Amare è phileoo: rappresenta un amore umano, che può essere sincero ma sa di convenienza. Come a dire: ti amo per quello che puoi fare per me, perché mi fai sentire bene. In questo caso ha il senso di avere caro, proteggere.
  • Per contro odiare è miseoo, che significa anche disprezzare.
  • Quindi: chi ha cara la propria vita nella carne, la manda in rovina (apollymi); mentre chi disprezza la propria vita nella carne la conserverà (phylassoo che vuol dire anche custodire) in vita eterna.
  • Mandare in rovina e custodire sono azioni perduranti nel tempo. Non si tratta di eventi singoli o sporadici, ma di abitudini. Gli effetti delle scelte, sbagliate o giuste che siano, spesso non sono immediatamente visibili, ma i conti tornano sempre. Si raccoglie quello che si semina.
  • In teoria sembra tutto facile ma sappiamo bene che all’atto pratico non lo è. La vita nella carne esalta noi stessi, le nostre comodità. È molto gratificante perché è vissuta per i nostri interessi. Ma chi ha fatto la scelta giusta sa che la vita nello spirito è di maggior valore, anche se all’apparenza non sembra conveniente. È un po’ come confrontare un lavoratore che risparmia con un ricco spendaccione. Il primo non avrà vita comoda, ma arriverà un giorno a godersi ciò che ha messo da parte; il secondo avrà gozzovigliato tutta la vita, ma finirà senza nulla di valore.