Catechesi – LA LEGGE DEL NUOVO TEMPIO

“Questa è la legge del tempio: alla sommità del monte, tutto il territorio che lo circonda è santissimo; ecco, questa è la legge del tempio.” (Ezechiele 43, 12)

  • L’angelo del Signore ha appena mostrato a Ezechiele in visione il nuovo, bellissimo, tempio di Dio, misurandolo in modo che il profeta lo descrivesse con dovizia di particolari. Appena fatto ciò, Ezechiele scorge la gloria del Signore che finalmente torna nel tempio, dopo un lungo periodo di assenza a causa dell’iniquità di Israele. Ora tutte le cose sono fatte nuove!
  • Il tempio è magnifico, ed è costruito sopra un monte altissimo. L’edificio è talmente grande che più che un tempio pare al profeta una città; eppure nell’originale ebraico è sempre chiamato semplicemente «casa». Questo dettaglio ci fa capire che solo Dio può realizzare cose gloriose che siano al tempo stesso confortevoli per il Suo popolo.
  • Casa è dove ci si sente a proprio agio, liberi, amati. Nella vita carnale può non essere la nostra casa reale, ma un luogo o una compagnia che soddisfi questo nostro bisogno. Con Dio ogni posto è casa, e sappiamo che Egli è sempre con noi, ma la pienezza di questa presenza si realizza nella comunione con i fratelli. Radunarsi nel nome del Signore permette a Dio di manifestarsi, se ciò è fatto nella sincerità e nella purezza di cuore.
  • Altrimenti, l’assemblea non è più casa, ma un luogo di sospetto e falsità. E come può dimorarvi il Signore? Ecco perché Dio, prima di dare a Ezechiele le istruzioni specifiche per il culto, dice questa frase un po’ particolare, che Egli chiama «la legge del tempio» (della casa): alla sommità del monte, tutto il territorio che lo circonda è santissimo.
  • È una sorta di premessa, un riassunto di tutto il messaggio del Signore; è la conditio sine qua non per tutti coloro che fanno o vogliono fare parte di questa casa. E’ così anche nelle nostre famiglie terrene: ci sono delle norme non scritte di rispetto e sincerità che permettono alla casa di andare avanti e affrontare uniti ogni vicenda.
  • La legge del tempio non è un qualcosa «da fare», ma una verità da ricordarsi sempre, da tenere presente come il fondamento del nostro rapporto con Dio. Il termine di riferimento è «santissimo», in ebraico kadosh kadoshim ovvero santo dei santi. Era il nome della parte più interna del tempio costruito da Salomone a Gerusalemme, ed indicava anche la porzione interna della tenda del convegno nel deserto. Insomma, era il luogo dove dimorava la gloria di Dio, inaccessibile a tutti tranne al sommo sacerdore una volta all’anno, in particolari condizioni rituali.
  • Quindi per un ebreo, sentire che tutto il territorio circostante la sommità del monte fosse santissimo era un’enormità. Voleva dire rimanere a distanza miglia e miglia da quel luogo!
  • Ma se nessuno può avvicinarsi, che senso ha la visione data ad Ezechiele? Ovviamente messianica. Intanto, perché solo grazie al sangue di Cristo possiamo accedere alla santissima presenza di Dio! E poi, perché una casa di preghiera simile per dimensioni ad una città fa pensare all’universalità del messaggio del vangelo. Gesù è il salvatore del mondo, non solo messia di Israele.
  • Nella visione di Ezechiele il mastodontico nuovo tempio è suddiviso nelle classiche tre parti, (cortile esterno, santo e santissimo) eppure la santità dell’interno si estende e trabocca su tutto il territorio circostante. Questo dettaglio ci fa pensare a Mosè che si avvicina al roveto ardente sul monte Sinai. Mosè sta a distanza dal roveto, ma Dio lo invita a togliersi i sandali perché il suolo che calpesta è santo. Dio si manifesta nel roveto, ma tutto intorno diventa santo.
  • Mosè in quella circostanza non aveva certo fatto una speciale preparazione; non immaginava che avrebbe incontrato Dio. Ma quando Dio chiama, l’unica cosa da fare è avvicinarsi, perché sarà Lui a santificarci. Infatti la santità non è un prodotto umano. Per quanti sforzi possiamo fare, non saremo mai santi. Possiamo sfiancarci in tentativi vani di perfezionismo, ma questo non fa di noi dei santi. Solo Dio è tre volte santo, ed è la Sua presenza che santifica luoghi e persone.
  • La santità di Dio si espande tutto intorno al tempio, ma c’è comunque un limite ed è la sommità del monte. È un dettaglio importante. Non significa che Dio è limitato da confini, ma che venire in contatto con questa santità ed entrare nella grande casa del Signore è una questione di scelta e di sì. Nessuno passa per caso dalla sommità di un monte, ma si prepara, si organizza, spende tempo e passione per conquistare le vette. La conferma sta nel significato stesso di kedushà (santità): è il mettersi da parte per Dio!
  • Dio invita il suo popolo ad essere santo, perché Lui è Santo. Osservare quanto Dio dice e fare ciò che Egli richiede non è la premessa per essere santi, ne è la conseguenza! Si obbedisce alla Parola di Dio perché si è scelto Dio e non viceversa. Per capire questo pensiamo ad un matrimonio, figura del rapporto tra Gesù e la sua chiesa. La moglie è sottomessa al marito perché è sposata a lui. Finchè sono solo fidanzati, c’è amore tra i due ma non un patto che li lega indissolubilmente. Noi spesso ci comportiamo con Dio come una fidanzata che obbedisce al fidanzato pensando che ogni atto di ubbidienza le valga il titolo di moglie. Ma è assurdo! Una fidanzata diventa moglie non per quello che fa, ma perché ha scelto e ha detto sì a quell’uomo per la vita intera. Da quel momento è tenuta, per il suo bene e per quello della sua casa, ad essere sottomessa. Se non lo farà, infliggerà gravi danni a se stessa e al suo prossimo, anche se ciò non muterà il suo status legittimo di moglie.
  • Ecco perché Dio parla della legge del tempio, o meglio, della casa. Questo versetto è come la formula di matrimonio, che sancisce un nuovo status per vivere con Dio e per poter poi procedere nella rivelazione e nell’intimità con Lui. Noi siamo santi perché scegliamo di voler sposare il Dio tre volte santo. La santità che abbiamo così acquisito per amore, e non per merito, va poi custodita nell’obbedienza a Dio.
  • Quello che spinge una coppia al matrimonio non è l’obbligo o la convenienza. Non ci si sposa perché si vuole beneficiare di servizi o di mantenimento o di protezione. Ci si sposa per amore. Il resto è parte della quotidianità, e viene fatto come conseguenza dell’amore, non come causa. Un marito custodisce la moglie perché la ama, non per dovere. Una moglie fa quanto detto dal marito per amore e per fiducia, non per ingraziarselo!
  • Dio è lo Sposo perfetto e desidera santificare la Sua sposa. È Lui a fare tutto, ma la sposa deve lasciarsi santificare e non andare per le proprie vie o peggio rivolgersi agli idoli. La santità di Dio deve essere sempre un pensiero fisso in noi, affinché non pecchiamo. Non per paura, ma per santo timore.

Picture1“Non è molto, ma è tutto quello che ho. – E’ tutto ciò che ho sempre voluto”