COME L’ALBERO, COSÌ I FRUTTI

Matteo 7, 15-20: Guardatevi dai falsi profeti che vengono a voi in veste di pecore, ma dentro sono lupi rapaci. Dai loro frutti li riconoscerete. Si raccoglie forse uva dalle spine, o fichi dai rovi? Così ogni albero buono produce frutti buoni e ogni albero cattivo produce frutti cattivi; un albero buono non può produrre frutti cattivi, né un albero cattivo produrre frutti buoni. Ogni albero che non produce frutti buoni viene tagliato e gettato nel fuoco. Dai loro frutti li potrete riconoscere.

Giovanni 15, 5: Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me e io in lui, questi porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla.

Quante volte diamo dei giudizi di valore. A cose, a persone, a situazioni. Quante volte valutiamo male le circostanze. Un lutto, un licenziamento, la fine di un’amicizia, un dolore possono essere considerati solo eventi da dimenticare. Sofferenze inevitabili nel corso di una vita, ma il più possibile da eludere e da scansare. Momenti indelebili per quanto ci hanno traumatizzato, a cui ancora ripensiamo con le lacrime agli occhi, sono delle ferite sempre aperte che ci hanno segnato. Da allora qualcosa è cambiato. Da allora qualcuno ha perso la purezza, l’adolescenza, la fiducia nell’uomo, la serenità, il sonno. Qualcosa di bello è sparito, e non ritornerà più. Dobbiamo rassegnarci. I più bravi forse supereranno il trauma e saranno più forti nell’affrontare le successive difficoltà, ma rimarrà in loro uno sguardo più grigio, un volto più duro, un senso di tensione che li continuerà ad accompagnare per molto, molto tempo ancora. Altri invece rimarranno spezzati da quel dolore: il tempo si fermerà a quel giorno e una parte di loro morirà lì. Per mesi, anni apriranno gli occhi la mattina, e il primo pensiero sarà proprio il ricordare quanto di terribile è successo. Le sofferenze della vita sono la prova più grande che ogni uomo, credente o non, deve affrontare. Nessuno ne è escluso e tutti sono concordi nel dire che sarebbe meglio non stare male mai, essere sempre sereni, addormentarsi ogni sera col sorriso sulle labbra. Certo, ogni giorno ha le sue preoccupazioni, questo va bene, ma tutti noi faremmo la firma per non dover mai (o mai più) affrontare un dispiacere insopportabile come una separazione, un lutto, una malattia, un’ingiustizia. “Mai più” è un’espressione che volentieri è nelle bocche di tutti. Quale sofferenza è degna di essere vissuta? Perché doverne desiderare o addirittura volerle benedire?

Romani 8, 28: Del resto, noi sappiamo che tutto concorre al bene di coloro che amano Dio, che sono stati chiamati secondo il suo disegno.

Ci consola questa dichiarazione? Siamo sinceri: se tutti noi potessimo scegliere, non vorremmo mai più piangere o essere tristi. Mai più. Eppure sta scritto:

Romani 8, 36: Per causa tua siamo messi a morte tutto il giorno, siamo trattati come pecore da macello.

Quindi, le nostre sofferenze non sono altro che il segno tangibile della nostra appartenenza al Figlio dell’uomo, e non potranno mai essere forti abbastanza per farci allontanare dall’amore che il Padre nutre per noi! Quando una persona sta passando un momento difficile, ha solo una domanda per la testa: perché? Invece, una fede maggiore dovrebbe portarlo a chiedersi: chi può essere contro di me?

Romani 8, 31-35: Che diremo dunque in proposito? Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi? Egli che non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha dato per tutti noi, come non ci donerà ogni cosa insieme con lui? Chi accuserà gli eletti di Dio? Dio giustifica. Chi condannerà? Cristo Gesù, che è morto, anzi, che è risuscitato, sta alla destra di Dio e intercede per noi? Chi ci separerà dunque dall’amore di Cristo? forse la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada?

Dio permette il dolore perché esso lo unisca ancor di più al credente, perché ne abbia sempre maggior cura e perché lo ricerchi con più forza come Salvatore. Mai come quando si sta male è chiaro il nostro bisogno profondo di Dio, quanto sia importante il suo sostegno per non impazzire e per rialzarsi. Ecco che un male diventa bene, perché ci aiuta a rientrare in noi stessi e a dare al nostro Creatore la giusta importanza nella nostra vita. Si sa, quando tutto va bene è facile dimenticarsi di Lui, trascurarlo e dedicarci solo ai nostri interessi. Invece, con la sofferenza che ci spacca il cuore o con un problema da risolvere, è inevitabile per noi gridare: Abbà, Padre!

Romani 8 , 15-17: E voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto uno spirito da figli adottivi per mezzo del quale gridiamo: “Abbà, Padre!” Lo Spirito stesso attesta al nostro spirito che siamo figli di Dio. E se siamo figli, siamo anche eredi: eredi di Dio, coeredi di Cristo, se veramente partecipiamo alle sue sofferenze per partecipare anche alla sua gloria.

Un grido che dalla terra arriva al cielo. Una sofferenza per riscoprire a Chi apparteniamo e Chi è che può darci la vita e la gioia in abbondanza. Una sofferenza per riscoprire chi sono e da dove vengo. Per capire, ancor più profondamente, Chi può salvarmi. È solo Lui, il mio Creatore. Un dolore per radicarmi ancor più in Lui, per sentirmi tutt’uno con la consolazione infinita e la pace vera.

Giovanni 15, 16: Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga.

Quanto è evidente in questo momento che senza Gesù non si può far nulla! E il frutto che ne deriva è già così abbondante! Sono infatti tra le braccia di mio Padre, e a Lui sto affidando la mia vita come non l’avevo mai fatto! Dai frutti si riconosce l’albero, e non c’è che dire: quello che mi fa più male è proprio una benedizione, se mi spinge dal mio Creatore! Allora, occorre rivalutare quanto ci accade, non in base all’oggi, ma a quello che comporta nel domani! Ritorniamo indietro e consideriamo in modo diverso tutte le sofferenze passate: a Chi ci hanno unito più saldamente? A un uomo o a Dio? Da Chi siamo andati a chiedere aiuto? È Dio che si è insediato al centro dei nostri pensieri, da quel giorno in poi sempre di più. Portare frutto è possibile solo se si è radicati in Lui. E noi da quel giorno lo siamo. Un dolore indicibile per morire a noi stessi e cercare così il nostro Salvatore: questo è il frutto dell’albero buono che noi da quel giorno abbiamo scelto per noi.