Come un leone ruggente

Il Signore protegge continuamente i suoi figli, costruendo per loro un rifugio sicuro, dove possono tranquillamente tornare. È la casa per il figliol prodigo, la sottomissione, l’ubbidienza e la benedizione per tutti i credenti. Se io rimango in Lui, niente potrà nuocermi. Se io rimango nel recinto che Lui ha costruito per me, nessuno sarà mai contro di me.

Rimanere nella casa del Signore significa non esporsi a tranelli, inganni, falsificazioni che il nemico escogita continuamente per prenderci l’anima. A questo è infatti interessato: vuole entrare in casa, gettare scompiglio, invadere come un ladro le nostre proprietà, mettere tutto in disordine, far paura e darci continue insicurezze. E farà di tutto per riuscire nell’impresa: non si arrenderà mai, ispezionerà continuamente la casa, per controllare se da qualche parte c’è una fessura o una finestra semiaperta e, se troverà un appiglio, moltiplicherà le forze pur di entrare e compiere i suoi misfatti.

Sta a noi, quindi, evitare che lui entri. Se guardo fuori dalla finestra, sarà sempre lì a strisciare intorno al mio giardino. Non sa fare altro che questo. Ma io posso sigillare ogni ingresso, ogni portone, ogni finestra per impedirgli di farmi del male. Non devo mai pensare di farcela da sola, sarebbe presuntuoso, devo sempre e solo chiudere ogni accesso. Anche se mi trovo vicino alla porta, non devo lasciarla socchiusa, confidando nella mia resistenza. Quell’essere strisciante è così arguto che riuscirà a cogliermi impreparata. La gara tra me e lui non è ad armi pari, io perderei di certo e sarei sbranata. No, la gara devo farla giocare a lui e alla mia casa stessa, che io ho rivendicato come unica difesa. Allora sì che il nemico sarà sconfitto, allora sì che potrò dormire sonni tranquilli e confidare nel domani.

Vivere nella casa non significa essere felici e contenti come nelle favole: nella mia, ad esempio, c’è il pensiero di un malato che ha bisogno di cure ed attenzioni continue. Ma tutto ha un altro sapore, quando è chiaro nel cuore di essere nella benedizione del Signore. Ogni dispiacere o sofferenza è dolcemente mitigato dalla consapevolezza di avere lo sguardo del Padre che mi protegge in ogni momento. È una sofferenza dentro la casa, nella sottomissione e nell’ubbidienza alla sua Parola. Non è una sofferenza che deriva dall’aver lasciato la porta aperta, ma un dolce dolore che rientra in un progetto d’Amore e di Misericordia infinita. È un dolce giogo, perché benedetto e custodito dal Padrone di casa. E io non ho nulla da temere!

Quanto è importante sigillare la casa! E fa parte della sottomissione a Dio aspettare che si presenti da solo quello che ciascuno di noi desidera. Sbaglio se penso che arriverà prima, se tengo aperta la porta. Potrà entrare prima soltanto chi ha tutto l’interesse di farmi soffrire.

Quello che ciascuno di noi desidera entrerà comunque, se è nel volere del Padre, dal portone principale dopo aver suonato il campanello. Allora potrò andare tranquillamente ad aprire, perché ogni buon regalo e ogni dono perfetto viene dall’alto e discende dal Padre della luce. Mai e poi mai dobbiamo pensare che arrivi qualcosa di buono dalle entrate secondarie e nel disordine: tutto ciò che desideriamo è conosciuto dal Padre ed entrerà solo con il suo consenso e la sua benedizione. Come dono aggiuntivo e non come atto dovuto.

La benedizione passa dal portone, la maledizione si insinua strisciando tra le nostre mancanze.

* Giacomo 1, 16-17