DIO CI DONA UN SUO PICCOLO_III

* Giovanni 17,6-11: 6Ho fatto conoscere il tuo nome agli uomini che mi hai dato dal mondo. Erano tuoi e li hai dati a me ed essi hanno osservato la tua parola. 7Ora essi sanno che tutte le cose che mi hai dato vengono da te, 8perché le parole che hai dato a me io le ho date a loro; essi le hanno accolte e sanno veramente che sono uscito da te e hanno creduto che tu mi hai mandato. 9Io prego per loro; non prego per il mondo, ma per coloro che mi hai dato, perché sono tuoi. 10Tutte le cose mie sono tue e tutte le cose tue sono mie, e io sono glorificato in loro. 11Io non sono più nel mondo; essi invece sono nel mondo, e io vengo a te. Padre santo, custodisci nel tuo nome coloro che mi hai dato, perché siano una cosa sola, come noi.

Nel momento culminante della Sua missione, prima di consegnarsi alle guardie, Gesù è insieme agli apostoli nel cenacolo, e prega. Gesù sta per compiere l’ultimo e più importante gesto della volontà del Padre, sa che questa consiste nell’unico Giusto che muore per gli ingiusti. La salvezza di Dio sta per compiersi. La salvezza è per tutti, ma non è di tutti: solo chi riconoscerà e sceglierà Gesù come Salvatore, sarà salvo. Solo chi accetta Gesù come Dono, il più bel Dono che Dio può dare, sarà salvo. E Gesù non prega per tutti. Alla vigilia della sua morte, prega per “gli uomini che mi hai dato dal mondo” e per “quelli che per la loro parola crederanno”.

Gesù ha avuto una missione affidatagli dal Padre, che consisteva anche nel percorrere le strade di Israele e annunciare al popolo eletto la buona novella. Migliaia di persone lo hanno ascoltato, migliaia sono state guarite, ma solo pochissime gli sono andate dietro. Queste persone sono i discepoli: non hanno seguito Gesù per un caso fortuito, ma Gesù stesso li ha chiamati perché sapeva che il Padre glieli aveva donati! Quindi, anche Gesù, la cui autorità viene dal Padre, è stato investito di responsabilità soprattutto per coloro che gli erano stati specificamente donati dal Padre stesso. Non a caso Gesù predica in parabole a tutto il popolo, ma spiega il significato solo alla cerchia dei discepoli perché “a voi è dato di conoscere i misteri del regno dei cieli, ma a loro non è dato.” (Matteo 13,10-11)

L’amore di Gesù è perfetto perché è il vero Amore-dono, è l’Amore agape. Il Padre gli ha donato una chiamata (“Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?”, Luca 2,49), a cui Gesù ha risposto di sì; è stato preparato 30 anni per la sua vocazione finché non è stato il tempo opportuno stabilito dal Padre. Appena egli parte per la sua missione, subito il Padre gli indica i discepoli, gli amici intimi che ha pensato per Lui, e Gesù li chiama. Li istruisce, li nutre, li rimprovera, li corregge, in nome dell’autorità che ha su di loro datagli dal Padre.

Gesù dice: “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici” (Giovanni 15,13). Non dice che l’amore più grande è dare la vita in modo generico ed impersonale. L’amore ha sempre un destinatario, anche se questo può non capire o non accettare, ma ciò fa parte della gratuità del dono di amore. L’amore non può che essere personale. “E se anche distribuissi tutte le mie sostanze e dessi il mio corpo per essere bruciato, ma non avessi la carità, niente mi giova.” (1 Corinzi 13,3).

Gesù precisa poi inoltre chi sono gli “amici” in questione, distinguendoli dai “servi”. “Voi siete miei amici, se farete ciò che io vi comando. Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamati amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre l’ho fatto conoscere a voi”. (Giovanni 15,14-15). Gesù, come autorità responsabile, può dare la vita solo dopo che ha istruito le persone a Lui affidate. Non avrebbe potuto farlo prima, non avrebbe avuto senso, perché non ci sarebbe stata condivisione ma soprattutto non ci sarebbe stata conoscenza. Non si può amare senza conoscere. E solo quando Gesù rivela in sé il volto del Padre, allora chiede ai discepoli di fare quello che lui comanda, cioè “che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati”.

* 1 Tessalonicesi 2,1-12: 1Voi stessi infatti, fratelli, sapete bene che la nostra venuta in mezzo a voi non è stata vana.2Ma dopo avere prima sofferto e subìto oltraggi a Filippi, come ben sapete, abbiamo avuto il coraggio nel nostro Dio di annunziarvi il vangelo di Dio in mezzo a molte lotte. 3E il nostro appello non è stato mosso da volontà di inganno, né da torbidi motivi, né abbiamo usato frode alcuna; 4ma come Dio ci ha trovati degni di affidarci il vangelo così lo predichiamo, non cercando di piacere agli uomini, ma a Dio, che prova i nostri cuori. 5Mai infatti abbiamo pronunziato parole di adulazione, come sapete, né avuto pensieri di cupidigia: Dio ne è testimone. 6E neppure abbiamo cercato la gloria umana, né da voi né da altri, pur potendo far valere la nostra autorità di apostoli di Cristo.7Invece siamo stati amorevoli in mezzo a voi come una madre nutre e ha cura delle proprie creature.8Così affezionati a voi, avremmo desiderato darvi non solo il vangelo di Dio, ma la nostra stessa vita, perché ci siete diventati cari.9Voi ricordate infatti, fratelli, la nostra fatica e il nostro travaglio: lavorando notte e giorno per non essere di peso ad alcuno vi abbiamo annunziato il vangelo di Dio. 10Voi siete testimoni, e Dio stesso è testimone, come è stato santo, giusto, irreprensibile il nostro comportamento verso di voi credenti; 11e sapete anche che, come fa un padre verso i propri figli, abbiamo esortato ciascuno di voi, 12incoraggiandovi e scongiurandovi a comportarvi in maniera degna di quel Dio che vi chiama al suo regno e alla sua gloria.

Anche Paolo, per la missione che gli è stata affidata, e come una buona autorità in Cristo, dà nutrimento ai bisognosi, cioè a coloro che non conoscono il Signore e che hanno bisogno della Parola di Dio, vero nutrimento e Vita, per andare avanti. Nel fare ciò, Paolo prova amore. Da quel momento, e non prima, desidera dare pure la propria vita per loro. È frutto della carne immolarsi per gli altri ogni volta che questo desiderio precede il gesto del nutrirli! Pensiamo a Gesù: prima c’è l’Ultima Cena, poi il Calvario. Il Calvario è Amore perché prima c’è stata condivisione. Il vero sacrificio non è per un’umanità generica, ma per quanti il Signore ci mostra e ci dona al fine di nutrirli.

Al versetto 11 Paolo dice che ha esortato i discepoli di Tessalonica “come un padre fa con i figli”. L’autorità di padre-madre esiste per vocazione del Signore verso chi Lui ha scelto, nello Spirito come nella carne, come figli. Si esorta un figlio, con un amore libero e al tempo stesso su misura per lui. Amare un figlio non è come amare un uomo in generale. Non si ama un figlio perché semplicemente è di Dio, ma perché quel figlio è per noi dal Signore, in modo unico e profondissimo. Amare come padre o madre è davvero arrivare a sacrificarsi, se si riconosce quel figlio come nostro e di Dio insieme.

Accostiamoci al prossimo che Dio ci dona, sia esso sposo, figlio, amico, genitore, conoscente, estraneo, per donare la Parola ed amare, conosciamo il vicino e sosteniamolo così com’è. Il Signore passerà nei nostri cuori e la Vita che è in noi verrà comunicata all’altro. Solo dopo questa conoscenza saremo in grado di dire: darei la mia vita per te!