Il genitore, nella carne o nello Spirito, è come un atleta che gareggia insieme a Dio in una corsa a staffetta, in cui il figlio è la staffetta! Il Padre, che dall’eternità tiene ogni bambino nel Suo pensiero, lo dona ai genitori affinché lo custodiscano; loro lo portano fino ad un certo punto, in cui lo rimettono nelle Mani di Dio. Solo il Signore infatti può vincere questa gara, e portare il figlio a compiere il suo percorso di vita in pienezza. Se il figlio ha imparato dai genitori a fidarsi del tocco di Dio, non cercherà di sfuggire dalle Sue Mani!
Un errore comune in cui cadono molti genitori (credenti e non) è quello di pensare di dover essere loro a portare la staffetta fino al traguardo. Dal momento in cui il figlio nasce, i genitori si prodigano per spianargli la via del successo, per assicurargli il miglior cibo, le migliori scuole, le migliori attività. Fanno di tutto per programmargli la felicità; non vogliono che soffra… in realtà stanno solo impedendo al figlio di vivere. I risultati di questa educazione sono, presto o tardi, evidenti: figli presuntuosi o figli insicuri. Anzi queste sono due facce della stessa medaglia, perché i ragazzi che pretendono sono, al tempo stesso, incerti e titubanti, incapaci di prendersi le proprie responsabilità e di affrontare la vita.
Non c’è nulla di male a volere il meglio per nostro figlio ma… siamo sicuri di sapere quale sia? Se un genitore non è sottomesso a Dio infliggerà certamente gravi danni al figlio. Il problema di fondo è che questi genitori, che se ne rendano conto oppure no, vogliono che il figlio continui a dipendere da loro. Traggono soddisfazione nel prendersi cura della prole come fosse il loro unico scopo nella vita. Finché i figli sono piccoli, ciò è bene, è il Signore stesso che ci invita a custodirli. Ma piano piano i genitori devono insegnare ai bambini a staccarsi da loro per andare incontro al Padre. Se non lo fanno, i figli cresceranno continuando a dipendere dai genitori o asservendosi agli idoli del mondo!
Che penseremmo di un uomo adulto che si fa ancora allattare o imboccare da sua madre? E’ una scena raccapricciante. Eppure accade tutte le volte in cui i genitori continuano a voler servire i figli come se fossero incapaci di fare da soli: si può trattare di cose pratiche (stirare, lavare, cucinare) o spirituali (consigliare ed intervenire senza essere stati consultati). Certo, non c’è niente di male a dare una mano se c’è un bisogno, o ad ammonire se si vede qualcuno sbagliare palesemente. Ma quello che facciamo è veramente per il bene dell’altro… o è un tentativo di sentirsi ancora indispensabili?
5Mai infatti abbiamo pronunziato parole di adulazione, come sapete, né avuto pensieri di cupidigia: Dio ne è testimone. 6E neppure abbiamo cercato la gloria umana, né da voi né da altri, pur potendo far valere la nostra autorità di apostoli di Cristo. 7Invece siamo stati amorevoli in mezzo a voi come una madre nutre e ha cura delle proprie creature. 8Così affezionati a voi, avremmo desiderato darvi non solo il vangelo di Dio, ma la nostra stessa vita, perché ci siete diventati cari. (1Tessalonicesi 2, 5-8)
Nutrire un’altra persona è un gesto di grande amore, ma solo se è fatto nell’interesse dell’altro, e non perché dà soddisfazione a chi lo fa. Si dice che “c’è più gioia nel dare che nel ricevere”: è vero, ma se questo diventa un modo per sentirsi utili ed appagati, c’è qualcosa che non va.
Se tutto ruota intorno al nostro io, non avremo attenzione per la persona che abbiamo davanti. La considereremmo un “accessorio” per il realizzarsi della nostra paternità/maternità. Invece il Signore ci dona delle persone reali: esse vanno accolte come figli proprio perché uniche e irripetibili, amate per quello che sono e non per ciò che noi vorremmo fare di loro.