Pensiamo ad ogni padre e madre che conosciamo: anche i più schivi e timorosi tra i genitori farebbero di tutto per i propri figli. Essi rappresentano il frutto del loro amore e la realizzazione concreta della benedizione di Dio nel loro matrimonio. Un figlio è la pupilla dei loro occhi, un dono preziosissimo e unico, e assorbe legittimamente energia, risorse e tempo. La vita di un genitore è sempre condizionata dalla serenità del figlio: ha tutto ciò che è utile? È felice? Sto facendo abbastanza per lui? Cosa gli riserva il futuro? E tra queste domande passano i giorni, i mesi, gli anni. Nei casi più eclatanti, i genitori si annullano pure per i loro figli, e corrono qua e là per accontentarli, spianargli le strade, agevolare il loro cammino. Fino a vivere per loro.
A vivere per un figlio e non per il Figlio.
Un figlio che diventa Dio e che il più delle volte non apprezza fino in fondo quanto sacrificio, dedizione, passione ci sono nel cuore per lui e per la sua realizzazione.
Come si può essere genitori secondo la volontà di Dio? E se Dio abita nel piccolo, come si può essere padre e madre di un figlio di Dio?
* Luca 2, 22-24: 22 Quando furono compiuti i giorni della loro purificazione secondo la legge di Mosè, portarono il bambino a Gerusalemme per presentarlo al Signore, 23 come è scritto nella legge del Signore: «Ogni maschio primogenito sarà consacrato al Signore»; 24 e per offrire il sacrificio di cui parla la legge del Signore, di un paio di tortore o di due giovani colombi.
I genitori devono essere concordi e vicini nel fare l’unico gesto a loro richiesto: consegnare al Signore il piccolo. Così fecero Giuseppe e Maria. Così faccia ciascuno. Spesso si pensa che per i figli si debba provvedere attraverso cibo, vestiario, istruzione, abitazioni. Ciò è importante, ma non è l’essenziale. L’essenziale è riconoscere da dove il piccolo viene, Chi c’è dietro a questo dono e a Lui restituirlo. In questo gesto avviene la consacrazione del figlio a Dio, e da lì tutto il resto sarà dato in sovrappiù.
Per essere buoni genitori occorre prima di tutto riconoscere che solo Dio potrà provvedere a lui nel migliore dei modi. Facendolo, essi dichiarano da una parte che ciò che hanno non appartiene a loro, ma a Dio soltanto; dall’altra che essi non sono in grado di provvedere a lui come desiderano. Un buon genitore è timoroso del Signore, umile e consapevole che la sua creatura va custodita al meglio, e le mani giuste non sono le sue, bensì quelle del Padre celeste.
* Luca 2, 41-50: 41 I suoi genitori andavano ogni anno a Gerusalemme per la festa di Pasqua. 42 Quando giunse all’età di dodici anni, salirono a Gerusalemme, secondo l’usanza della festa; 43 passati i giorni della festa, mentre tornavano, il bambino Gesù rimase in Gerusalemme all’insaputa dei genitori; 44 i quali, pensando che egli fosse nella comitiva, camminarono una giornata, poi si misero a cercarlo tra i parenti e i conoscenti; 45 e, non avendolo trovato, tornarono a Gerusalemme cercandolo. 46 Tre giorni dopo lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai maestri: li ascoltava e faceva loro delle domande; 47 e tutti quelli che l’udivano, si stupivano del suo senno e delle sue risposte. 48 Quando i suoi genitori lo videro, rimasero stupiti; e sua madre gli disse: «Figlio, perché ci hai fatto così? Ecco, tuo padre e io ti cercavamo, stando in gran pena». 49 Ed egli disse loro: «Perché mi cercavate? Non sapevate che io dovevo trovarmi nella casa del Padre mio?» 50 Ed essi non capirono le parole che egli aveva dette loro.
Padre e madre di un figlio che non è mai per loro, ma per l’umanità: egli è nato infatti per il prossimo e loro sono presenti solo in modo parziale nella sua vita.
Gesù si trova con la famiglia a Gerusalemme, com’è tradizione. Egli non va da solo, e ciò è segno che la rivelazione della propria vocazione si ha spesso nella condivisione familiare e a contatto con quel Dio che padre e madre hanno insegnato a conoscere. Gesù va insieme a loro, ma si trattiene senza di loro. Perché? Perché i genitori possono solo indicare una strada, ma poi la scelta del figlio è libera e personale. Colpisce, in questo episodio, che sia il figlio a voler rimanere e i genitori ad andarsene per primi. Questo accade non solo perché il figlio in questione è proprio Gesù, ma perché è pur giusto che il sì di ogni figlio avvenga in modo isolato e senza troppe pressioni.
Gesù rimane dal “Padre suo” e vede ciò che Giuseppe e Maria ancora non hanno compreso: “la mia vita è al servizio di Dio, fin dal momento presente”. Vorremmo anche noi figli così determinati e santi?
Ciò è possibile, se ci tiriamo indietro e permettiamo loro di ascoltare se stessi, il Signore e quanto è stato seminato nel cuore durante la giovinezza. Sicuri e consapevoli che il Padre celeste è l’unico che sappia leggere i reali bisogni e le vere e profonde intenzioni del giovane. Certi che Lui indicherà e opererà.
Un figlio è specchio del genitore, sempre. Nel bene e nel male. Ecco perché sbaglia, inciampa, spesso non ascolta. È esattamente come noi!
Ma non si perderà, perché è stato da noi consegnato all’Eterno e sarà Lui a mostrargli la strada. Come fa con noi.
Tiriamoci quindi indietro e impariamo da Giuseppe e da Maria. Anche loro non capirono, eppure Giuseppe sapeva di non essere il padre e Maria lo aveva concepito senza mai aver conosciuto uomo!
E anche noi spesso non capiamo, eppure sappiamo. Sappiamo Chi è che ce l’ha donato e da dove proviene la vita. Per questo, non temiamo per noi e per i nostri figli!
Una famiglia nel Signore: marito, moglie e discendenza. Una storia di fede e di amore. Che ci insegna a conoscere il Signore guardando negli occhi di chi noi amiamo di più, consapevoli che tutto ci è stato dato per essere felici e per vivere nella gioia dei figli di Dio.
Una santa famiglia: questo ci è stato promesso, questo è e sarà.
* 1 Corinzi 13, 13: Ora dunque queste tre cose durano: fede, speranza, amore; ma la più grande di esse è l’amore.