Andiamo insieme a rileggere la prima pagina di questo scritto.
Essa si intitola: “L’importanza di un dono” e ha tutta l’aria di essere un commento su privilegio che Dio ci ha fatto nell’averci donato la persona che abbiamo accanto. Cominciamo a leggere e scopriamo cosa è un dono: è un qualcosa sceso dal cielo per noi, una testimonianza dell’amore di Dio per la sua creatura, un gesto di benevolenza e misericordia nei nostri confronti. Subito dopo, però, non si parla del dono di per sé, ma del cattivo uso che ciascuno può farne, ogni volta che non si ricorda o riconosce la sua provenienza celeste, se non lo si adopera nel modo adeguato, se addirittura si pensa che esso non serva assolutamente a nulla.
Questa catechesi, posta qui in fondo, vuol essere un ammonimento, dal quale tutto è partito e verso il quale tutto ritorna: attenzione a valorizzare bene il dono del compagno di vita e della nostra vita coniugale.
Finché si era giovani e c’erano spensieratezza, bellezza ed energia, era facile tornare a casa col sorriso sulle labbra. Era quasi una passeggiata per noi trascorrere momenti di gratuita felicità e leggerezza. Poi i figli, gli impegni di lavoro, le esigenze degli altri… È semplice allontanarsi, perdersi di vista, dimenticare.
Tutte le mattine, guardando il nostro sposo, occorre ricordare: “Ecco chi Dio ha scelto per me, ecco il mio regalo sceso dall’alto a proteggermi e a completarmi. Gloria al Padre per quanto bene ha provveduto a darmi!”
Spesso marito e moglie diventano solo un padre e una madre, e la complicità viene meno in nome di ruoli imposti e poco gratificanti.
E così il nostro dono per noi viene messo in un angolo, tra tanti altri oggetti, pronto ad impolverarsi e a perdere la sua esclusiva brillantezza. Guardiamo il nostro compagno di vita e chiediamoci: “È o non è la creatura più preziosa che Dio mi ha concesso di amare?”.
Arrivano i figli, e lo sposo scompare dalle nostre priorità, anzi diventa spesso il nostro ostacolo maggiore di fronte a un personale tentativo di educare, correggere e insegnare ai bambini. E così un dono diventa un inciampo e la nostra sterilità ci allontana da lui e anche da Chi ce lo ha fatto incontrare.
Un marito e una moglie: sono loro il dono più grande che Dio ci ha concesso, sono loro la nostra seconda vocazione, dopo che Lui ci ha condotto a Sé nel cammino della vita.
Chi c’è, dopo il Signore, al primo posto?
Chi, se non lo sposo o la sposa?
Da dove nasce la chiesa domestica, se non da questo nucleo?
E chi è il mio prossimo, se non la persona che Dio mi fa vedere per prima al nostro risveglio?
Chiamati ad amare: questo è il fine di ogni cristiano, questo è il suo portare frutto. Ma da chi occorre cominciare?
Guardiamo lo sposo e leggiamo nel suo sguardo quanto Dio ci ami e quanto ci abbia soccorso donandocelo. Pensiamo alla nostra vita prima di quell’incontro, quando c’era qualcosa dentro che ci addolorava e quando la solitudine rendeva grigia ogni cosa.
Soffermiamoci sul nostro oggi, pieno di abbondanza e fertilità. Frutto del nostro amore è una famiglia nel Signore con tutte le conseguenti benedizioni.
È il volto dello sposo quello che più ci attira, ciò che da Dio deriva!
Sposo e sposa: sono Cristo e la Chiesa, ed essa guarda a Chi per lei ha dato tutto, e non a ciò che può guadagnare grazie a tale sacrificio.
Amare il proprio sposo è un impegno e un piacere giornaliero, e con esso noi impariamo ad amare e a servire Cristo, che lo ha scelto come autorità per noi qui sulla terra.
Quanto saremo capaci di amare il nostro compagno di vita, tanto saremo vicini a vivere l’amore per Dio qui sulla terra.
* Matteo 25, 31-46: 31 «Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria con tutti gli angeli, prenderà posto sul suo trono glorioso. 32 E tutte le genti saranno riunite davanti a lui ed egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dai capri; 33 e metterà le pecore alla sua destra e i capri alla sinistra. 34 Allora il re dirà a quelli della sua destra: “Venite, voi, i benedetti del Padre mio; ereditate il regno che v’è stato preparato fin dalla fondazione del mondo. 35 Perché ebbi fame e mi deste da mangiare; ebbi sete e mi deste da bere; fui straniero e mi accoglieste; 36 fui nudo e mi vestiste; fui ammalato e mi visitaste; fui in prigione e veniste a trovarmi”. 37 Allora i giusti gli risponderanno: “Signore, quando mai ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare? O assetato e ti abbiamo dato da bere? 38 Quando mai ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo accolto? O nudo e ti abbiamo vestito? 39 Quando mai ti abbiamo visto ammalato o in prigione e siamo venuti a trovarti?” 40 E il re risponderà loro: “In verità vi dico che in quanto lo avete fatto a uno di questi miei minimi fratelli, l’avete fatto a me”. 41 Allora dirà anche a quelli della sua sinistra: “Andate via da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli! 42 Perché ebbi fame e non mi deste da mangiare; ebbi sete e non mi deste da bere; 43 fui straniero e non m’accoglieste; nudo e non mi vestiste; malato e in prigione, e non mi visitaste”. 44 Allora anche questi gli risponderanno, dicendo: “Signore, quando ti abbiamo visto aver fame, o sete, o essere straniero, o nudo, o ammalato, o in prigione, e non ti abbiamo assistito?” 45 Allora risponderà loro: “In verità vi dico che in quanto non l’avete fatto a uno di questi minimi, non l’avete fatto neppure a me”. 46 Questi se ne andranno a punizione eterna; ma i giusti a vita eterna».
Qui Gesù parla dei piccoli, anzi dice per la precisione “uno” di questi piccoli. Non è una persona generica quella a cui Lui si riferisce, ma è chi Lui ha accanto a Sé per noi. Questi piccoli non sono i nostri figli, almeno non di primo acchito. I piccoli sono proprio i nostri congiunti, e nell’amarli si compie il nostro più importante gesto per il Signore.
Dio nessuno l’ha mai visto, ma l’amare chi Lui ci ha messo vicino è il modo concreto migliore per conoscere e incontrare sulla terra il nostro Sposo del cielo.