Il padre misericordioso

11Disse ancora: “Un uomo aveva due figli. 12Il più giovane disse al padre: Padre, dammi la parte del patrimonio che mi spetta. E il padre divise tra loro le sostanze. 13Dopo non molti giorni, il figlio più giovane, raccolte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò le sue sostanze vivendo da dissoluto. 14Quando ebbe speso tutto, in quel paese venne una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. 15Allora andò e si mise a servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei campi a pascolare i porci. 16Avrebbe voluto saziarsi con le carrube che mangiavano i porci; ma nessuno gliene dava. 17Allora rientrò in se stesso e disse: Quanti salariati in casa di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! 18Mi leverò e andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato contro il Cielo e contro di te; 19non sono più degno di esser chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi garzoni. 20Partì e si incamminò verso suo padre. (Luca 15, 11-20)

Il figliol prodigo è dovuto proprio precipitare in basso, prima di pentirsi. Ma se si fosse fermato qui, soltanto riconoscendo tra sé e sé il peccato, la sua situazione non sarebbe cambiata ed egli sarebbe rimasto tra i porci, a lamentarsi che nessuno gli dava le carrube! Invece egli, una volta pentito, fa l’unica cosa che può fare: si alza e torna a casa.

Il giovane medita in cuor suo di “declassarsi” a servo, cercando così di ripagare i suoi errori. Vuole meritarsi il ritorno, lavorando per abitare nella casa del padre. I suoi ragionamenti ci appaiono sensati finché valutiamo tutto dalla nostra ottica limitata, basata sulla meritocrazia; invece Dio opera nella misericordia! Infatti accadono cose non previste.

20Quando era ancora lontano il padre lo vide e commosso gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. 21Il figlio gli disse: Padre, ho peccato contro il Cielo e contro di te; non sono più degno di esser chiamato tuo figlio. 22Ma il padre disse ai servi: Presto, portate qui il vestito più bello e rivestitelo, mettetegli l’anello al dito e i calzari ai piedi. 23Portate il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, 24perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato. E cominciarono a far festa. (Luca 15, 20-24)

Il padre, quando vede arrivare il figlio, lo precede andandogli incontro per non fargli fare tutta la strada verso casa da solo. Accoglie il suo pentimento, ma non gli permette di proporsi come servo per meritarsi il ritorno. Accetta il figlio così com’è, ma lo trasforma subito con il suo amore donandogli il vestito più bello, l’anello e i calzari. Il padre fa tutto questo perché “questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato.”

Generalmente, non abbiamo difficoltà nell’accettare che Gesù abbia pagato per i nostri sbagli del passato, commessi prima di averLo incontrato; però ci sembra inconcepibile che Egli possa sopportare i nostri peccati dopo che Lo abbiamo conosciuto, e ci blocchiamo. Ci tormentiamo pensando che non ci sia più giustificazione e quindi ricadiamo nella condanna della legge: per riacquistare la Sua grazia dobbiamo guadagnarcela. Tutto ciò è sbagliato, ovviamente. Primo, perché Gesù è morto per tutti i nostri peccati, non solo per una parte di essi. Lui sa tutto, sa già quello che faremo. Spesso noi rimaniamo sconvolti da noi stessi ma nulla può sorprendere il nostro Signore. Secondo: ripensiamo alla parabola del figliol prodigo e capiremo qual è l’atteggiamento del Padre nei nostri confronti. Egli non smette di amarci nemmeno quando siamo lontani a sperperare i Suoi averi. Egli aspetta con pazienza il nostro ritorno: non verrà a cercarci se non lo vogliamo, ma scruta l’orizzonte con trepidazione.

Quando il Padre ci offre la veste più bella, l’anello e i calzari, non respingiamo questi doni! Non ce li meritiamo, è sicuro. Ma la verità è che, se non li accettiamo quando ce li offre Lui, non avremo altra occasione di averli.