IO SONO LA PORTA

Giovanni 10, 1-10: “In verità, in verità vi dico: chi non entra nel recinto delle pecore per la porta, ma vi sale da un’altra parte, è un ladro e un brigante. Chi invece entra per la porta, è il pastore delle pecore. Il guardiano gli apre e le pecore ascoltano la sua voce: egli chiama le sue pecore una per una e le conduce fuori. E quando ha condotto fuori tutte le sue pecore, cammina innanzi a loro, e le pecore lo seguono, perché conoscono la sua voce. Un estraneo invece non lo seguiranno, ma fuggiranno via da lui, perché non conoscono la voce degli estranei”. Questa similitudine disse loro Gesù, ma essi non capirono che cosa significava ciò che diceva loro. Allora Gesù disse di nuovo: “In verità, in verità vi dico: io sono la porta delle pecore. Tutti coloro che sono venuti prima di me, sono ladri e briganti; ma le pecore non li hanno ascoltati. Io sono la porta: se uno entra attraverso me, sarà salvo; entrerà e uscirà e troverà pascolo. Il ladro non viene se non per rubare, uccidere e distruggere; io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza”

Il rapporto tra Gesù e i suoi discepoli è come quello che c’è tra un pastore e le sue pecorelle. Un pastore passa tutta la sua giornata e la vita intera a contatto con i suoi animali. La mattina li va a prendere nell’ovile, li fa uscire portandoli su pascoli erbosi e sentieri sempre nuovi, li fa abbeverare alle fonti, concede loro riposo e li riconduce a casa con amore alla sera. Quando torna all’ovile, conta le pecore una a una, sa riconoscerle tutte e di ognuna ricorda le abitudini e le caratteristiche. C’è la pecora più pigra, quella inappetente, la giovane e veloce, quella malata e con la zampina ferita. Con amore, tutte sono passate in rassegna. Ogni giorno, dalla mattina alla sera. Sì, il pastore è la porta per le sue pecorelle: da lui dipende la loro vita, il modo di trascorrere l’intera giornata e il loro nutrimento. Senza di lui, esse non potrebbero sopravvivere. Certo, sono solo dei piccoli animali, non possono comunicare pensieri o stati d’animo eclatanti, ma amano il loro pastore senza dubbio; sanno riconoscerne la voce, il fischio, la camminata particolare, la dolcezza delle sue parole. Probabilmente la mattina sono lì che lo aspettano per una nuova passeggiata. Ciascuna poi ha un ricordo diverso che la lega al suo pastore: c’è quella che gli deve la vita perché lui l’ha recuperata da un burrone nel quale era caduta; c’è quella che gli gira sempre intorno per giocare; quella invece che sa che verrebbe subito brontolata se si addentra da sola in zone poco sicure. Bè, se la mattina seguente ad aprire l’ovile ci fosse un’altra persona, quelle pecorelle lo capirebbero subito. Qualcosa le spaventerebbe d’istinto, non sarebbe tutto come prima, ma un gelo le attraverserebbe dentro. Chi è questa persona? Cosa vuole da noi? E, soprattutto, dove è  il nostro amato pastore? Il comportamento delle pecore dovrebbe farci riflettere profondamente. Animali così semplici sono molto più avanti di noi nel cammino di fede. In loro c’è un sano istinto che non permette inganni o simulazioni. Le pecore sono in grado di distinguere ogni volta il pastore da chi non lo è. Senza dubbi o incertezze. Che situazione privilegiata! Per loro basta stare insieme al loro padrone per avere tutto chiaro. La continua comunione con lui non permette mai passi falsi. Possono ferirsi o ammalarsi lo stesso, ma più di noi sanno sempre che c’è qualcuno che non le perde mai di vista e che saprà curarle con un amore speciale. Le pecore riconoscono sempre la voce del pastore. E questo dovrebbe farci capire qualcosa e scuoterci dai nostri torpori e dai nostri dubbi. Quante volte noi, invece, non sentiamo neanche tale voce, o dubitiamo nel cuore che qualcuno la sera si preoccupi della nostra condizione? Quanto abbiamo perso dello squisito e unico rapporto che ci lega con il nostro Signore? Forse dipenderà dalla confusione che ogni giorno viviamo, da tutte quelle spinte che contrastano con la sua Parola, dai messaggi suadenti che ci rivolgono quotidianamente mille attentatori. Purtroppo, tutto ciò ci impedisce a volte di perderci nell’amore del nostro Pastore, e così soffriamo e rischiamo la morte continuamente. Frequentiamo cattive compagnie, diamo ascolto a pessimi consiglieri, usciamo con uomini poco raccomandabili e già è tanto se siamo ancora qui a pregare Gesù e a riconoscerlo come Signore della nostra vita.

Giovanni 10, 11-13: “Io sono il buon pastore. Il buon pastore offre la vita per le pecore. Il mercenario, invece, che non è pastore e al quale le pecore non appartengono, vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge e il lupo le rapisce e le disperde; egli è un mercenario e non gli importa delle pecore.”

Dovremmo forse imparare a distinguere meglio le voci di chi ci circonda: dove vogliono condurci? Cosa vogliono portarci via? Una cosa sola deve essere chiara nel nostro cuore: se non è il buon Pastore a parlare, chi lo sta facendo vuole condurci alla morte. In modo consapevole e senza alcun tentennamento. Chi ci parla è un mercenario e non ha nessun interesse a vederci felici o a farci stare bene. Vuole solo che moriamo. E non si farà nessuno scrupolo per ottenere quanto desidera.

Giovanni 10, 14-18: “Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, come il Padre conosce me e io conosco il Padre; e offro la vita per le pecore. E ho altre pecore che non sono di quest’ovile; anche queste io devo condurre; ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge e un solo pastore. Per questo il Padre mi ama: perché io offro la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie, ma la offro da me stesso, poiché ho il potere di offrirla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo comando ho ricevuto dal Padre mio.”

 Che differenza tra lui e il nostro amato Pastore: uno è venuto per darci la morte, l’altro per offrirci la sua Vita! E non importa quanto siamo malati, insani, vecchi o scalmanati, siamo le sue pecore! Il suo compito è quello di custodirci e di salvarci. In questo si compie il progetto che Dio Padre ha su di Lui: parlare al gregge e amarlo così com’è. Il Signore darà la vita per le sue pecore, e in questo consiste il suo essere “porta” per noi. Egli passa per il calvario per donarci la salvezza e, se noi lo riconosciamo come nostro Salvatore, passeremo per questa porta e troveremo il pascolo. Il Signore è venuto per donarci la vita in abbondanza! Sta a noi seguire la Sua voce o quella di altri. Non ci saranno dubbi nel riconoscerla: nella prima i frutti saranno di pace, vita, abbondanza; nella seconda sarà solo pianto e disperazione. Una è la nostra più importante consolazione: al Signore non sfugge nessuna pecorella. Tutte sono sotto il suo sguardo pietoso e ricco di misericordia. Cessiamo di avventurarci tra i rovi e le sterpaglie e facciamoci abbracciare: niente ci manca così tanto, come un momento d’amore e di sincerità.