Prendiamo uno sposo che abbia molto sonno. Arriva a casa dopo una giornata d’intenso lavoro e trova la sua compagna indaffarata nei preparativi per una lunga e abbondante cena per lui.
Prendiamo invece una sposa, spossata dalle difficoltà quotidiane, che torna nel suo nido e si aspetta di trovare il marito pronto ad abbracciarla e a coccolarla.
Due persone stanche e bisognose d’amore: l’uno lo troverebbe nella pace e nel silenzio, l’altra nell’affetto e nell’abbraccio.
Due richieste, due necessità, due mondi che si incontrano alla fine della giornata. Probabilmente, due persone che riceveranno di lì a poco una delusione dall’altro.
Perché? Perché è tanto facile desiderare amore, e tanto difficile accontentare le richieste dell’altro? Perché, pur mettendoci tutta la buona volontà, nessuno riesce a fare la cosa giusta e desiderata dal compagno, se non dopo grandi sforzi e pochissima spontaneità? Perché gli universi maschile e femminile sono così distanti? E, soprattutto, perché ogni volta si pretende qualcosa che l’altro non sa e non può dare?
Il problema è a monte. Sta in una pretesa: lo sposo (o la sposa) deve amare come vuole l’altro. Non come sa amare, ma come l’altro vuole che ami. Come se l’amore fosse un qualcosa che produce risposte ai propri bisogni e che sia vero solo se interpreta esattamente le necessità altrui.
Qui c’è un vizio di fondo: considerare l’amore un fatto puramente umano. Invece l’amore è da Dio, esprime ciò che Dio prova nei confronti del compagno di vita, ed è quindi perfetto così com’è.
Tale amore è, semmai, da depurare dalle scorie dei nostri egoismi, del nostro vissuto, delle nostre esigenze, del nostro io. È da purificare, attraverso l’eliminazione di tutto ciò che appartiene a noi e non a Dio stesso. Il capriccio viene da noi, come anche la pretesa e l’attenzione esclusiva.
È difficile amare in ogni momento lo sposo e sorvolare sulle sue frasi poco gentili o sulla sua immaturità. Eppure, se la sposa per prima lo ama dell’amore di Dio piuttosto che del suo, sarà ben più facile per lei guardarlo e desiderare con tutto il cuore di servirlo e di onorarlo. Non è quindi detto che, ogni volta che i due coniugi rientrano a casa, ciò implichi una serie di musi lunghi o di incomprensioni.
Torniamo a casa con una priorità: ringraziare Dio per chi ci sta attendendo. Vivere questo nuovo incontro come l’ennesima dimostrazione del Creatore dell’amore che ha per noi, reso evidente dall’averci provveduto di un sostegno o di una completamento.
Facciamoci un bagno di umiltà davanti alla porta di casa: “Possa io ripulirmi di ogni egoismo o cupidigia, per il bene dell’altro e di tutta la famiglia”. Varchiamo la soglia pieni d’amore, pronti a dare e non a ricevere. Così l’amore di Dio che è in noi distenderà ogni animo e porterà alla conversione e al mutamento.
Entriamo in casa pronti a dire: “Dove si trova il gioiello del mio cuore?”. E abbracciamolo, per ringraziare Dio di quanto ha fatto per noi. Spesso, per rinnovare le promesse matrimoniali, basta solo ricordare quanto Dio ha cambiato il nostro cuore e come esso parla totalmente a nome Suo, e non più nostro.
Non entriamo in casa pensando a noi stessi, ma alla nuova unità che Dio ha costituito. Per essere felici, è necessario che sia felice l’intera unità, non più il singolo componente.
Facciamo spazio al noi nel nostro cuore e vedremo appianarsi situazioni, problematiche e contraddizioni. Il Dio dell’amore è nel nostro cuore e nella nostra famiglia. Lasciamolo agire e non ci saranno più dissapori. Rinunciamo a noi stessi e troveremo la pace: prima il noi e poi l’io sarà ricolmato del bene più grande, cioè la concordia e l’amore, che supera ogni bisticcio e velleità.
Varchiamo la soglia di casa abbandonando fuori ogni pretesa. Chiudiamo la porta e abbracciamo il noi, progetto di vita da parte del Signore e fonte di ogni nostra soddisfazione.
Tutto è già cambiato, dopo il nostro sì.
* 1 Tessalonicesi 4, 1-8: 1Per il resto, fratelli, vi preghiamo e supplichiamo nel Signore Gesù: avete appreso da noi come comportarvi in modo da piacere a Dio, e così già vi comportate; cercate di agire sempre così per distinguervi ancora di più. 2Voi conoscete infatti quali norme vi abbiamo dato da parte del Signore Gesù. 3Perché questa è la volontà di Dio, la vostra santificazione: che vi asteniate dalla impudicizia, 4che ciascuno sappia mantenere il proprio corpo con santità e rispetto, 5non come oggetto di passioni e libidine, come i pagani che non conoscono Dio; 6che nessuno offenda e inganni in questa materia il proprio fratello, perché il Signore è vindice di tutte queste cose, come già vi abbiamo detto e attestato. 7Dio non ci ha chiamati all’impurità, ma alla santificazione. 8Perciò chi disprezza queste norme non disprezza un uomo, ma Dio stesso, che vi dona il suo Santo Spirito.