SPEZZA LE CATENE DEL MALE

* Isaia 58, 6-8: Non è piuttosto questo il digiuno che voglio: sciogliere le catene inique, togliere i legami dal giogo, rimandare liberi gli oppressi e spezzare ogni giogo? Non consiste forse nel dividere il pane con l’affamato, nell’introdurre in casa i miseri, senza tetto, nel vestire uno che vedi nudo, senza distogliere gli occhi da quelli della tua carne? Allora la tua luce sorgerà come l’aurora, la tua ferita si rimarginerà presto. Davanti a te camminerà la tua giustizia, la gloria del Signore ti seguirà.

* Marco 2, 19: Possono forse digiunare gli invitati a nozze quando lo sposo è con loro? Finché hanno lo sposo con loro, non possono digiunare.

Cosa posso fare per il Signore? Cosa posso inventarmi per dimostrargli tutto il mio amore e la mia dedizione? Le domande di un discepolo che ha messo Gesù al centro del suo cuore sono sincere, ma nascondono un errore di fondo: io per Gesù non “devo” fare niente. Soprattutto, al mio Signore non interessa affatto che io mi sacrifichi gratuitamente per dimostrargli i miei sentimenti. Non mi è richiesto nulla di tutto ciò. È già sufficiente ubbidirgli, seguirlo, mettere in pratica i suoi insegnamenti, avere nei confronti del prossimo un atteggiamento d’amore e di apertura sincero. Nulla più di questo.

Spesso noi uomini crediamo che Gesù sarebbe più contento nel vederci rinunciare volontariamente a un piacere o a un bene necessario: ecco perché compiamo talvolta i famosi “fioretti”, con i quali ci impegnamo a non fare qualcosa, a non toccare quel cibo, a non parlare di quell’argomento… Bé, in realtà non è questo il punto. Certo, il Signore gradisce il nostro digiuno durante una preghiera particolare, gradisce la nostra rinuncia a una debolezza per amore suo, ma dobbiamo imparare che il Signore non ha in mente questi gesti quando parla del digiuno che vuole. Il Signore non ci chiede nessuna plateale dimostrazioe d’affetto, nessun gesto che possa metterci in mostra o farci apparire migliori. Il Signore vuole solo che noi compiamo la Sua volontà, ed essa non consiste certo nel non mangiare la cioccolata o nel non bere lo spumante a tavola. Possiamo anche farlo per Lui, ma non in questo consiste la nostra ubbidienza. Cosa ci chiede allora? Cosa possiamo fare per Lui? Cosa davvero gli è gradito?

“Sciogliere le catene inique, togliere i legami dal giogo, rimandare liberi gli oppressi, spezzare ogni giogo”: questo è quanto ci chiede. Quando Isaia scriveva tali cose, si riferiva ad una società formata da padroni e schiavi. In modo estremamente innovativo, proponeva la fine di questo rapporto iniquo e unilaterale. Ipotizzava la possibilità di annullare ogni legame e di rimandare in libertà gli oppressi. Continuava poi il profeta col dire che il vero digiuno accetto a Dio è far rivestire gli affamati e occuparsi di loro, senza tralasciare i membri della propria famiglia.

Come possono essere tradotte queste parole ai giorni nostri? La nostra è una società diversa, fondata su altri valori. Non c’è più la schiavitù, e la disparità tra persone è annullata dalle nostre leggi. Forse che il datore di lavoro deve mandar via i suoi dipendenti? Forse che dobbiamo aprire la porta della nostra casa a tutti i barboni della città e farne un ostello per loro? No, non è neppure questo il digiuno che Dio ci chiede.

Le catene di cui si parla qui non sono di natura sociale, non si vedono neppure. Le catene che devono essere spezzate, il giogo che deve essere tolto, sono qui rappresentati dal nostro atteggiamento nei confronti degli altri e di noi stessi. A che cosa leghiamo gli altri? A cosa ci incateniamo da soli? Da cosa il Signore vuole che decidiamo di liberarci? Lui ci vuole liberi, ma da cosa?

Dio vuole che la smettiamo di pretendere diritti sugli altri, di guardarli pensando che ci debbano qualcosa e che siano in difetto con noi. Dio vuole che non accampiamo più nessun diritto di proprietà, né su di loro, né su noi stessi. Nessuno deve più lavorare per me, aspirare alla mia contentezza, al mio appagamento, come fine della propria esistenza.

Quanti rapporti tra persone, invece, hanno queste basi! Genitori che opprimono i figli, fidanzati che mettono in soggezione e tolgono il respiro, amici che non hanno il coraggio di parlare perché non hanno lo stesso pensiero della massa. Queste sono le catene inique. Ciò che Dio disprezza. Nessuno può e deve essere Dio per un altro uomo, sia chiaro. Qualsiasi rapporto fondato su queste premesse va spezzato e ricostruito. Va rifondato da capo. Questo è il vero digiuno a Lui gradito: scendere dal proprio piedistallo e considerare gli uomini come creature da servire, non da cui essere serviti. Gli altri sono da accogliere e da amare, senza nulla togliere alla nostra famiglia. Ora è centrale l’idea di dare, non più di ricevere. Tutto all’opposto di quanto fatto fino a questo momento.

Anche per noi stessi le catene vanno spezzate: non sono più schiavo del mio io e del mio appagamento, ma di Dio e del suo Regno.

Tutto il pretorio sa che sono in catene per Cristo (* Filippesi 1, 13), è così per san Paolo e deve esserlo anche per noi.

Accorriamo con gioia da Gesù, Lui è il filtro di ogni nostro rapporto, con Lui mangiamo e non digiuniamo più. È lo sposo al centro della festa, non noi. Cristo è il fulcro, noi i convitati. Questo è il posto da prendere a tavola. Partecipiamo con gioia al miglior banchetto, che non celebra noi con i nostri diritti e le nostre buone azioni, ma il Dio vivente che ci ha donato la libertà.