È sempre dovuto ad una scelta consapevole il nostro allontanamento dalla casa del Padre. Una scelta mai improvvisata, ma meditata nel cuore e incoraggiata da mille pensieri suadenti. Una scelta che fa chiudere una porta e, quanto è peggio, implica l’affrontare il tempo futuro da soli. Se io chiudo la porta al Padre, rinuncio completamente ad avere un rapporto con Lui. Non ci sono vie di mezzo. O dentro o fuori. O sì o no. O con Me o contro di Me. Sono io che me ne vado, e costringo il Padre a non poter far niente per me. Egli non può rinnegare se stesso e abbandonare la propria casa per venirmi dietro! Gli chiedo la mia eredità, ringrazio senza troppi entusiasmi e tolgo il disturbo. Ma quali piaceri possono essere così allettanti da rinunciare a una pace stabile e a una comunione così intima? Probabilmente nulla di realmente provato, solo pensieri, immaginazione e illusioni. È solo un’illusione pensare di essere appagati fuori da quella casa, è una sciocca illusione che porta a sofferenza, privazioni e pentimento. Non esiste felicità fuori da lì, ma forse non se ne è completamente consapevoli fino al giorno in cui non si arriva a perdere tutto. Ogni uomo ha bisogno di perdere, di arrivare al fondo per capire dove si trova davvero la sua realizzazione. È nella casa fondata sulla roccia, nell’esperienza reale e non sognata, dove sono davvero conosciuto e amato per quello che sono, dove chi mi è accanto è felice nel vedermi sorridere.
Chissà quanta sofferenza nel figlio che si ritrova a mangiar carrube, quanto rimpianto e senso di disperazione. Non c’è nulla di peggiore che sapere di essere gli unici responsabili delle proprie sventure. Allora quel figlio ripensa a suo padre, alla sua casa, alla posizione e alla serenità precedente. Allora il suo cuore si spezza e i suoi occhi finalmente vedono. Bisogna cadere così in basso per rendersi conto, per vedere con i propri occhi i frutti delle decisioni personali! Allora fa più male ripensare all’atteggiamento del padre: e chi sarebbe capace di uguagliarne l’amore? È stato messo da parte, è stato salutato in fretta, è stato freddamente congedato. Allora per il figlio è evidente l’abisso che c’è tra loro due, un abisso grande quanto la loro attuale distanza. Allora giunge un pianto di dolore, una lacerazione interna talmente forte che porta, finalmente, all’inginocchiarsi.
Non posso fare nulla senza mio Padre, non posso avere nessuna felicità, nessun risultato, nessuna soddisfazione. Non posso stare senza di Lui. L’ho conosciuto, l’ho amato, sono stato in sua compagnia, ho gioito con Lui e mi sono sentito amato e custodito in ogni momento. Non posso più stare senza la sua luce, e non so neppure come ho fatto a pensare di poterne fare a meno. Non è più possibile. Io devo tornare da mio Padre!
Ognuno di noi è stato quel figlio e ha provato l’atroce sofferenza del privarsi volontariamente di Lui. Ognuno di noi ha ripreso la strada opposta ed è ritornato a casa. Più titubante, pieno di vergogna, con ferite e ossa rotte. Ma pur sempre figlio, di un Padre che, per nostra grazia, non ha nulla a che vedere con noi. Un Padre paziente e misericordioso, pronto sempre a riprenderci e a prepararci un rientro accogliente. Un Padre ricco di amore e pietà, che non sa tradire una lacrima alla vista del figlio più debole che ritorna da Lui.
* Luca 15, 11 ss. (il figlio perduto e il figlio fedele: “il figlio prodigo”)