Quando si serve il prossimo, va mantenuto un atteggiamento umile verso ciascuno. L’umiltà però non sia la nostra, ma quella del Signore. Il servizio, infatti, non ha nulla di nostro, neppure questa disposizione d’animo. Ecco perché spesso chi serve non è soddisfatto: si trova infatti a contatto con uomini che non ha scelto e a fare mansioni che non desidera. Ma il buon servo, di per sé, mica deve essere soddisfatto! In lui prevalgono solo la felicità e la pace, perché egli non vive più per il suo tornaconto personale, ma solo per realizzare il regno di Dio qui sulla terra!
Finché siamo noi a decidere di essere umili, non stiamo facendo un vero servizio.
La vera umiltà è invece accettare di non avere alcun diritto di giudicare la strada che Dio ha scelto per noi, e di imboccarla con fiducia, senza sapere dove essa conduce e per quali strade. Il servo umile non ha pretese, ma agisce solo con chi Dio ha stabilito e senza fare alcuna preferenza di persone, realtà, situazioni.
Solo giunti a questo punto il cristiano è pronto a dare: egli darà tutto, perché ha abbandonato ogni proposito personale e ha rinunciato ad affermare se stesso. Adesso la sua attività abbia inizio!
Chi serve il prossimo ha compiuto una scelta per certi versi più difficile di quella per cui ha detto di sì a Dio: ha deciso di umiliarsi non di fronte al Creatore, ma davanti agli uomini. Se è facile riconoscere la propria indegnità di fronte al Signore, molto meno sopportabile sarà abbassarsi e umiliarsi con una persona che pecca ed è incline al male come noi. Ma se Dio ci ha chiesto di farlo, e ci ha espressamente detto che quando lo si fa, in realtà lo si fa a Lui, cosa dovrebbe trattenerci?
A fermarci è solo ed esclusivamente il nostro io.
Non le forze del male, né gli ostacoli del mondo, ma la nostra stessa carne, che è ricca di ambizioni, obiettivi da raggiungere e tanto desiderio di affermarsi.
Chi ha detto di sì al servizio, porta al monte Moria non un dono ricevuto da Dio, né un bene prezioso, ma direttamente se stesso.
È proprio l’io l’Isacco da consegnare!
Ma quanto ci è difficile prendere quel coltello per offrirsi in sacrificio per Dio? Non una parte di noi, come l’intelligenza, il corpo, ma tutto di noi? Ma davvero non avevamo capito che Dio ci chiede la vita intera? E davvero credevamo che ciò sarebbe stato facile?
Chi accetta di servire mette in pratica la sua fede completa nel Signore e comprende che non può appoggiarsi a nulla, se non a Lui. Deve solo fidarsi, perché non può farsi forza sulla propria volontà, fede, amore per il Signore.
Lui sta chiedendo di fare un salto nel vuoto, a noi che siamo soli e nudi al Suo cospetto. Quando si decide di abbandonarsi a Lui, arriverà la pace, potremo andare avanti nel cammino e inizieremo a raccogliere i frutti del nostro percorso.
Quando uno decide di abbandonarsi a Dio, in primo luogo sperimenta per sé stesso il frutto di aver scelto la strada migliore: la pace derivante dall’essere custoditi da Dio. Noi proviamo per primi ciò che il Signore intende fare attraverso noi con il nostro prossimo!
Sottomettersi infatti a una autorità implica benedizione e abbondanza. Chi lo fa ammette di essere limitato e bisognoso. E sa che solo Dio è la vera autorità! Può comprenderlo perché ha rinunciato al proprio io con i suoi desideri, e si è messo in ascolto. Fino ad allora può darsi che si sia scelto cattive autorità spontaneamente, piegandosi di fronte alle persone sbagliate e falsi punti di riferimento. Ciò è avvenuto solo se si è dato spago all’io, altrimenti ciò non può assolutamente avvenire. Chi è disposto a perdere se stesso ha trovato la vita e la protezione, alleluia!
Il servo vive per il suo padrone, e ha ben compreso una fondamentale verità: Dio vive in lui, non più lui stesso. Dio e solo Dio ha autorità sulla sua vita, e nulla può l’uomo o il maligno. Quando il servo si sente spossato, è il suo uomo esteriore ad esserlo, perché solo così esso perde di consistenza.
Il servo ha capito che la sua vita è nelle mani del Signore, perché così ha scelto, e Dio ha sancito tale volontà. Inoltre, egli ha inteso che senza Dio non può nulla. È diventato fedele per questo: sa di dipendere in tutto dal Padrone, e sa che suo compito è vivere di Lui, non di se stesso. La stessa cosa che ben sapeva il Figlio.
* Giovanni 4, 34: 34Gesù disse loro: “Mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e compiere la sua opera”.