UNA ROSA TRA I GIRASOLI_parte I

Immaginiamoci una rosa: è bellissima e si trova in un campo senza erba. È da sola, si eleva maestosa e non ha vegetazione intorno, solo terra. Ha spine in abbondanza. È un fiore superbo e altezzoso, incurante della solitudine e del poco verde. Che frutti raccoglierà?

Immaginiamoci adesso un campo pieno di girasoli: sono una squadra, si ergono altissimi e cambiano di continuo la loro posizione. Cercano, infatti, la luce dall’esterno e si muovono insieme. La sera, abbassano tutti la testa a terra.

Queste due specie di fiori rappresentano i due modi di concepire la vita: come esseri singoli o come squadra. Come protagonisti o come fratelli. Come pieni di sé o come alla ricerca sempre di una luce esterna.

Due stili di vita, due mondi inconciliabili, due destini completamente diversi. Solitudine, superbia, egocentrismo da una parte; umiltà, fratellanza e anche utilità dall’altra.

La rosa vive per se stessa, è appagata dalla sua bellezza e non si cura di nulla. Eppure, se ha la vita, non è certo per merito suo. Eppure, anche lei ha bisogno di luce e di acqua come tutti gli altri fiori. Ha scambiato la sua bellezza con la superiorità sugli altri, ma a torto: un brutto temporale può farla morire, come succede a tutti.

La rosa non ha eredi, non fatica per nessuno, non lascia nulla di sé. È bellissima, ma fine a se stessa. Gli altri la possono solo guardare, ma senza avvicinarsi troppo, perché si farebbero del male. La sua è una bellezza che non ha nessuna utilità, è effimera e senza valore. È un fiore tanto bello fuori, quanto inutile dentro.

Non è così per il girasole, fiore alto e splendente. Lui gioca di squadra, è sempre affiancato da altri compagni e, tutti insieme, cambiano direzione a seconda della luce del sole. Sanno che dipende dall’esterno la loro vitalità e, con umiltà e forza al tempo stesso, vanno dietro unitamente a ciò che dà loro vita. In questo modo si rafforzano sempre più e portano un frutto abbondante: un frutto che avevano già in sé, ma che può venir fuori solo grazie al loro comportamento giornaliero.

A quale dei due fiori assomigliamo? Chi rispecchia di più non solo il nostro comportamento, ma soprattutto l’idea che abbiamo di noi stessi e degli altri?

Ciascuno di noi risponderà: “Assomiglio al girasole!”

Come il girasole, riconosciamo infatti di aver bisogno di una fonte esterna per la nostra sopravvivenza: è Dio la nostra luce, che ci fa andare avanti giorno dopo giorno. Tutti noi ne siamo consapevoli. Di Lui ci nutriamo e grazie a Lui portiamo frutto. Chi più, chi meno.

Ma cosa pensiamo degli altri? Che sono dei girasoli anche loro? O abbiamo la pretesa di sentirci una rosa in un campo di girasoli?

Spesso noi cristiani riconosciamo il nostro bisogno di Dio, ma non siamo umili abbastanza per ammettere che, nel nostro percorso, non siamo migliori degli altri. Fin quando si parla del rapporto che c’è tra noi e Dio, certo che viviamo alla Sua luce e nell’umiltà. Se invece il discorso si sposta tra noi e gli altri, è difficile mantenere lo stesso atteggiamento.

* Filippesi 2, 1-4: Se c’è pertanto qualche consolazione in Cristo, se c’è conforto derivante dalla carità, se c’è qualche comunanza di spirito, se ci sono sentimenti di amore e di compassione, rendete piena la mia gioia con l’unione dei vostri spiriti, con la stessa carità, con i medesimi sentimenti. Non fate nulla per spirito di rivalità o per vanagloria, ma ciascuno di voi, con tutta umiltà, consideri gli altri superiori a se stesso, senza cercare il proprio interesse, ma anche quello degli altri.

Perché il Signore ci invita a considerare gli altri come superiori? Neppure come uguali a noi, ma superiori!

Perché quello che ci richiede è il servizio.

Come posso servire un fratello, se penso che lui sia in grado di farlo da solo, al posto mio? Come posso servire se chi ho accanto non è bisognoso, come me, di qualcosa che viene dall’esterno e che nessuno dei due possiede?