L come… Lazzaro e il ricco epulone

l-come-lazzaroDopo il giovane ricco, presentiamo un altro uomo che ha fatto delle sue sostanze la giustificazione del suo cattivo comportamento. La ricchezza di per sé non è un male, ma è davvero difficile saperla gestire a fin di bene e accettare che essa non dipenda dai nostri beni, ma solo dalla grazia di Dio. Il protagonista di questa parabola ha fatto della sua ricchezza motivo di ghiottoneria e di vanto. Non solo: ha considerato il denaro giustificazione della sua superiorità sugli altri. Chi ha denaro vale, chi è povero non ha diritto a nulla. Valutiamo insieme questa mentalità e non scandalizziamoci, perché essa è più vicina al nostro modo di pensare di quanto vorremmo. Noi ci sentiamo spesso ricchi, ossia padroni della nostra vita. Gestiamo con molta superficialità e spesso con avidità tutti i beni che Dio ci ha dato. Sprechiamo i rapporti con gli altri e ne abusiamo: abusiamo della pazienza dei genitori o delle mogli, della comprensione dei nostri figli che ci vedono spesso assenti o distratti, dell’amore che Dio nutre per noi. Siamo in continuo debito con la vita, perché amiamo bruciare tempi, tappe, rapporti. Siamo in ansia per il futuro, ardiamo di desiderio e di speranza. Progettiamo e corriamo, pieni di aspettative e orgoglio. Ciò che l’epulone fa col denaro, noi lo facciamo con gli altri, con il nostro corpo, con nostro Signore. E neanche ce ne accorgiamo.

Leggendo, proviamo pietà per Lazzaro, ma in fondo non lo capiamo. Perché rimane lì alla porta del padrone, senza fare nulla per cambiare la propria sorte? Che cosa crede? Lazzaro non si affida alle persone giuste e il suo male è frutto delle sue scelte, potremmo pensare. Ebbene, questa nostra opinione ci manifesta la nostra somiglianza con il ricco epulone, che avrà pensato lo stesso. Ma cosa pensa Dio di Lazzaro? È questo che più conta. Dio non accusa Lazzaro dei suoi mali e non lo condanna. Ciò emerge dal proseguimento della storia. Dio ha compassione delle sue piaghe e gli offre la soluzione: un ricco a cui chiedere aiuto. In fondo, cosa sarebbe cambiato per lui? Avrebbe perso quel poco che per Lazzaro sarebbe stato l’essenziale. Lazzaro è un sofferente, ma comprende che la grazia è nell’ascolto e nell’attesa. Per questo rimane là, ma l’epulone non lo comprende, anzi ciò lo infastidisce non poco. Lazzaro rompe l’atmosfera, sporca la scena e andrebbe mandato via. Così pensiamo noi: quella persona che ci dà fastidio andrebbe eliminata. Ma non se ne va. Giace lì e non ci fa alcuna pena, anzi non la capiamo e la critichiamo. Ma non sarà che Dio la usa per la nostra conversione? Non potrebbe aver bisogno della nostra ricchezza, spirituale o materiale, per cambiare a sua volta condizione? Troppe volte usiamo saccenza e poca umiltà: giudichiamo dall’alto situazioni o persone e non vediamo i nostri difetti o la grandezza delle nostre colpe. Se continua così, avremo molto da rispondere a Dio dei nostri demeriti. E la cosa più preoccupante è che non ne siamo neanche consapevoli, non ci accorgiamo delle nostre mancanze e anzi ci sentiamo forti di quello che abbiamo.

Matteo 13, 12: Così a chi ha sarà dato e sarà nell’abbondanza; e a chi non ha sarà tolto anche quello che ha. 

Il ricco epulone vorrebbe, ancora una volta, comandare, anche una volta morto. Non accetta la sua eterna sconfitta e non riesce a modificare le sue priorità o il suo atteggiamento in alcun modo. Rispecchia la persona non convertita e ciascuno di noi, ogni volta che ci ostiniamo a perseverare nelle nostre scelte di male e nelle nostre visioni di vita. Anche nel tormento finale non cambia né l’idea che ha di se stesso, né quella verso il povero Lazzaro. Ragiona per le sue categorie e vorrebbe ancora essere servito. Non si domanda perché sia arrivato lì, dove ha sbagliato. È lontana da lui l’idea di rendere conto a qualcuno del proprio operato, non vede altro che se stesso.

Anche Lazzaro non è più vivo, ma adesso è consolato e amato. Ha finalmente ricevuto quanto chiedeva, e vista la cecità del ricco, adesso è direttamente il Padre a inondarlo del Suo amore e della Sua magnificenza. Lazzaro ha perseverato e ha ottenuto la vita eterna! Ma il ricco è ignaro, non vede perché non comprende, perché il cuore è arido e poco disponibile, perché in lui non c’è compassione, né attenzione. Egli vorrebbe fare da padrone anche all’inferno. Egli è ancora schiavo della sua mentalità e vorrebbe comandare anche ad Abramo. Ma ciò non può avvenire. Abramo lo interrompe e lo istruisce: non c’è modo per cambiare adesso. Tutto è finito, i giochi sono fatti. Allora il ricco comprende, vi è costretto, e lo assale un timore: anche i suoi cari periranno allo stesso modo. Per questo vorrebbe addirittura resuscitare per avvertirli! Tanta la sua presunzione!

Il dialogo con Abramo non è reale, perché il ricco non capisce e non vede. Solo nella croce e nel pentimento c’è la salvezza, e nessun patrimonio ce la potrà assicurare. Abramo parla a noi, che possiamo ancora cambiare, e a nessun altro. Chi ha orecchi per intendere, intenda.