Un padre aveva due figli_parte I

Uno rimane con lui, radicato nella casa paterna; l’altro si distanzia e va a cercare fortuna lontano dalla benedizione.

Chissà quanta gioia ci sarà stata in quella casa prima di quel giorno. Una famiglia in comunione, nella quale ciascuno rivestiva le proprie funzioni e godeva di ogni rispetto e dignità. Un padre affettuoso e responsabile, che osservava e vegliava tutti i giorni sui suoi figli: voleva per loro il massimo e per questo fine trascorreva le sue giornate. Due fratelli affiatati, che forse si facevano concorrenza ogni tanto, ma che erano profondamente legati da una confidenza e da un amore che li univa al di sopra di ogni vicenda. Una famiglia, vite che condividono lo stesso sangue, gli stessi valori, le stesse sofferenze e fatiche. Una chiesa domestica, benedetta dal Signore. Giovani che lavoravano, benessere economico, salute e tutta la vita davanti.

Ma a un certo punto, tutto questo non basta più.

Un figlio decide di andarsene. Una smania gli cresce dentro, un senso di insoddisfazione lo riempie, la noia aumenta di giorno in giorno. “Padre, dammi ciò che mi spetta”. Come se fuggire da lì risolvesse il problema, come se l’insoddisfazione fosse dovuta alle persone conosciute, al luogo frequentato, alle abitudini di tutti i giorni. “Padre, quello che ho qui non mi basta più, non mi rende felice. Voglio vedere cosa c’è fuori, voglio vivere come preferisco, desidero godere di tutto il denaro che ho e così trascorrere gli anni più importanti della mia vita”.

Cosa avrà pensato il padre in quel momento? Aveva già dei sospetti? Aveva notato l’irrequietezza del figlio? O è stato preso alla sprovvista? Qualunque cosa abbia attraversato la sua mente, non è forte abbastanza per farlo vacillare. “Ecco tutto quello che ti spetta”. Non tenta di fermarlo. Non cerca di farlo ragionare. Non gli spiega i rischi a cui andrà incontro. Fa solo quello che gli è stato richiesto. Senza fare una piega. Disinteresse da parte sua? Eccesso di fiducia? Superficialità? Niente di tutto questo. A farlo agire così è un amore profondo per chi ha visto nascere, per chi ha cresciuto, nella libertà e nella misericordia, valori che adesso gli impediscono di trattenerlo contro la sua volontà. Nessun gesto di disciplina o di correzione, nessuno sguardo contrariato o pieno di delusione. Solo una risposta di libertà, che rispetta l’errore e che dice: “la porta di casa è aperta, vai”, a dispetto di quanto il cuore può essere per questo trafitto. Una libertà che spezza le tradizioni e le convenzioni: “ecco la tua parte di eredità” e, con la porta che si chiude, si crea una rottura insanabile, uno spacco irrimediabile, una separazione straziante.