La figlia di Giairo e l’emorroissa, ovvero: come Gesù guarisce i cuori (II)

La figlia di Giairo simboleggia la parte del cuore in cui risiede la nostra identità. Essa è strettamente legata al contesto familiare in cui siamo nati e cresciuti: finché abitiamo nel nostro nucleo d’origine, siamo identificati come “figlio di…”, “figlia di…”. La nostra sopravvivenza dipende da altre persone, in genere i nostri genitori, da cui assorbiamo comportamenti e modi di pensare. Da bambini, ci viene istintivo ricalcare in toto i modelli che ci vengono proposti.

Crescendo, la nostra identità diventa più marcata e si distingue, anche criticamente, dalle figure di riferimento, soprattutto se esse mancano di amore o sono improntate al legalismo (Giairo è il capo della sinagoga, per l’appunto). Finché siamo solo figli, dobbiamo ubbidire ai nostri genitori, ma è importante che la nostra identità si sviluppi. Se ciò, per vari motivi, non accade, soccomberemo, perché rimarrà inerte in noi la possibilità di diventare uomini e donne capaci di seguire il piano di Dio nella nostra vita.

La famiglia è il posto in cui tutti ci conoscono, o, perlomeno, credono di conoscerci; in realtà, poco sanno dei nostri disagi e delle nostre sofferenze. Genitori e parenti, anche se armati di buone intenzioni, sono però coloro che piangono lutto su di noi e che deridono Gesù che ci viene a salvare. Non è bene rimanere tutta la vita “figli di…”, perché noi abbiamo un nome ed un’identità: siamo unici. Siamo noi stessi e nessun altro. Non siamo la proiezione dei nostri genitori o parenti. Siamo chiamati a fare cose che nessun altro può fare. Se la nostra personalità non cresce, siamo condannati a nascere e morire nella casa d’origine senza poterne mai uscire.

La parola “casa” ci fa venire in mente (o dovrebbe almeno) pensieri di pace, amore, riposo e quiete, tra persone conosciute e oggetti familiari. E’ un luogo in cui ci sentiamo al sicuro, in cui possiamo aprire il nostro cuore a coloro che vi abitano, sapendo che ci accetteranno come siamo, non ci vorranno diversi, perché ci vogliono bene. Eppure… per quanti è veramente così? Quanti vivono questo amore e questa accettazione in casa?

La ragione delle nostre sofferenze è da ricercarsi nell’idea stessa che abbiamo di casa, cioè di un luogo accogliente e sicuro. Il sentirsi rifiutati, fisicamente o spiritualmente, all’interno di essa, è fonte di ansia e preoccupazione. Se non c’è accoglienza in famiglia, dove potremo trovare ristoro? Spesso, pur di venire accettati, scendiamo a compromessi con la nostra vera identità, cercando di conformarci ai modelli e alle richieste pressanti della famiglia. Ma, così facendo, ci annichiliamo fino a scomparire.

Anche se il testo non lo dice, possiamo presupporre che Giairo e sua moglie stessero soffocando la figlia con aspettative pressanti, dato il loro status sociale. O, semplicemente, la vedevano crescere in fretta e volevano che rimanesse per sempre la loro bambina. Capita a tutti i genitori di avere nostalgie o di non capire pienamente i figli, perché non sono mai come uno se li aspetta… ma non volere che un figlio cresca significa soffocarlo fino a farlo morire; non accettare l’identità di un figlio significa distruggerlo.

Qual era il problema della figlia di Giairo? Perché stava per morire? Perché Gesù, appena la risuscita, dice di darle da mangiare? Forse questa ragazzina aveva smesso di farlo…?

E’ interessante notare che proprio a dodici anni, la stessa età della figlia di Giairo, Gesù si stacca dalla sua famiglia per interrogare i dottori nel tempio. E, in quei tre giorni di ricerche disperate da parte di Giuseppe e Maria, Gesù scopre, forse per la prima volta, la Sua vera identità. Lo si capisce dalla risposta che dà ai genitori angosciati: “perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?” (Lc 2, 49). Gesù deve ancora maturare, ma a dodici anni la Sua vocazione Gli diventa chiara, anche se i suoi non capiscono (v. 50). Pur tornando a Nazareth sottomesso ai genitori, Gesù cresce e la Sua identità si sviluppa pienamente. Non è così per la figlia di Giairo. Sta morendo perché è in trappola: non sa chi è, né che vocazione ha per il suo futuro.