ASCOLTARE E PARLARE

* Giacomo 4, 17: Chi dunque sa fare il bene e non lo compie, commette peccato.

* Giacomo 1, 22: Siate di quelli che mettono in pratica la parola, e non soltanto ascoltatori, illudendo voi stessi.

Ascoltare e parlare: gesti di quotidianità, frutto dell’educazione e del vivere civile. Prima si ascolta cosa l’altro ha da dire, poi si risponde.

La nostra risposta è frutto dell’ascolto, è coerente con quanto ha detto il nostro interlocutore. Riprende per punti le sue affermazioni approvando, modificando, specificando momenti di unione o di disaccordo. Ma moltissime volte ciò non accade.

Quante persone non sanno ascoltare? Hanno però tutte le risposte già pronte, piene di giudizio e prive di carità. Perché uno non ascolta? Perché è un tipo egoista e non vuole essere disturbato, perché è troppo faticoso perdere se stessi per immedesimarsi nella vita di un altro, perché non vuole mettersi in discussione per nulla al mondo.

Non ascoltare significa dare linfa al proprio io, che emerge con chiarezza nel momento in cui si chiede una risposta. Alcuni uomini rispondono sempre allo stesso modo, ripetono sempre i medesimi concetti e dimostrano così che quanto dicono non è frutto di un incontro personale che cambia il loro cuore, ma di una mentalità predefinita e cristallizzata, non interiorizzata e mai fino in fondo capita e liberamente scelta. Chi non sa ascoltare, ma solo parlare, non è padrone di se stesso davvero, e neppure lo sa. Perché? Perché la vera libertà e il vero dominio dipendono sempre da un incontro, sono sempre frutto di un confronto e di un dialogo, dove si è capaci di spogliare se stessi per scegliere nuovamente quello che si è e si vuole essere anche in futuro.

Chi ci dice che questo è il modo corretto di agire con gli altri nel mondo? Il nostro Dio. È Lui il primo a fare così con noi. Pensiamo a Gesù per un attimo: mangia o no con i peccatori? Va o no incontro alle folle? Gesù poteva benissimo ignorare le esigenze del prossimo per dire semplicemente la Verità: “Io sono il Figlio di Dio”. Lui davvero aveva il diritto di fare solo questo gesto, senza troppe implicazioni e tempo da perdere. E invece no. Gesù perde tempo con noi. Si veste della nostra umanità e soffre, piange, ride con noi. È capace di abbassarsi più che mai per ascoltare ogni peccatore, per sentir parlare di adulteri, concubinati, morti e stregonerie. Ascolta per poi parlare, per poi mostrare la strada e indicare ogni volta la via del bene e della liberazione. Gesù in persona si pone così con il prossimo.

Vogliamo noi essere da meno? Non ha alcun senso. Spesso ci sentiamo imbarazzati nel correggere un fratello nell’errore, a volte non ci sentiamo all’altezza di farlo, ma queste non sono valide giustificazioni. Anzi, ciò è indice di assenza di fede. Se noi non rispondiamo adeguatamente al prossimo, manchiamo di fede. Perché? Perché non crediamo che Gesù abiti in noi, che risieda nel nostro cuore, che desideri muoversi attraverso di noi. Lo soffochiamo, per fare buon viso con il prossimo, e così contribuiamo a spingerlo ancor di più a proseguire per le sue strade di male e di non verità. Perdiamo un fratello e rinneghiamo Dio, tutto con il nostro silenzio.

Chiunque sa fare il bene e non lo compie, commette peccato, dice san Giacomo.

La nostra missione nel mondo non può limitarsi all’ascolto e al sorriso. Essa è per la vita, è perché Gesù sia vivo in noi e nel prossimo. Si nutre della nostra azione e nel nostro sì a Lui, e ciò può significare anche parlare, spiegare, pregare insieme a chi ci viene incontro. Non farlo è solo falsa umiltà e poco amore. Se amiamo davvero un fratello, abbiamo il dovere di avvertirlo. E possiamo farlo, perché Dio abita in noi. Non a titolo personale, ma perché siamo mossi dall’amore. Se amiamo Dio non lo soffochiamo, se amiamo il fratello non lo lasciamo cade in un burrone, senza avergli almeno mostrato la via alternativa.

Spesso noi crediamo che evangelizzare sia equivalente a convertire un uomo, per questo esitiamo. Pensiamo che solo Dio converte e non noi, e così tacciamo. L’errore di fondo sta nel non aver ben compreso il significato dell’evangelizzare: esso è dare la vita, testimoniare, essere in Cristo. E questo è un compito da fare sempre, senza restrizioni.

Ascoltare e parlare, non solo ascoltare e tacere, o non ascoltare e parlare. Entrambe le azioni sono importanti ed entrambe vanno fatte nel Nome di Gesù.

Se consacriamo la nostra giornata al Signore, sarà Lui ad agire in noi con maggior libertà, perché ogni volta noi glielo abbiamo esplicitamente richiesto. E Lui, che è fedele a Se stesso, parlerà ogni volta dopo aver ascoltato.

A volte ci pare difficile testimoniare, o ci sembra di non trovare le parole giuste. La verità è che le parole giuste non le troveremo mai, perché non le possediamo, perché non dipendono da noi e non sono alle nostre dipendenze. Le parole giuste provengono dal cielo, abitano in noi per grazia e, se ciò avviene, è per il fratello che incontriamo.

Dio ci benedice e ci dona la Sua unzione non solo per noi, ma soprattutto per chi troviamo davanti. E nostro compito è solo quello di assecondare quanto Dio ci suggerisce ogni volta. Ad ogni incontro Lui ci dirà qualcosa, sempre di nuovo e sempre appropriato per chi abbiamo di fronte. Perché il Signore ci conosce ad uno ad uno e parla dopo un incontro personale ed una condivisione reale.

Facciamoci Cristo con gli uomini, siamo Suoi imitatori ed andiamo con sicurezza nel mondo. Sarà Dio a parlare per noi, sarà Lui a fornire gli incontri, sarà Lui e solo Lui a fare del Suo ciò che più gli piace.